Haftar vola a Roma: sui migranti
in Libia l’accordo a un passo

Haftar vola a Roma: sui migranti in Libia l accordo a un passo
Haftar vola a Roma: sui migranti in Libia l’accordo a un passo
di Cristiana Mangani
Mercoledì 5 Dicembre 2018, 00:34 - Ultimo agg. 11:21
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Il generale Khalifa Haftar è a Roma. Dopo venti giorni dalla Conferenza di Palermo sulla Libia, dove il feldmaresciallo ha avuto un ruolo da protagonista, ieri sera è arrivato nella Capitale per due visite molto riservate. Oggi incontrerà David Robinson, ambasciatore americano a Tunisi con delega sul dossier libico. E domani dovrebbe andare dal premier Giuseppe Conte, con il quale, quasi certamente, discuterà anche della questione migranti. Il suo ritorno in Italia conferma quanto importante sia in questo momento la posizione del nostro paese rispetto alla stabilizzazione della Libia, soprattutto mentre la Francia, altro contendente in territorio africano, deve fare i conti con una situazione interna molto difficile. 

IL CAMBIAMENTO
La scelta di incontrare l’ambasciatore Robinson a Roma non sembra casuale. Segue a una continua attività che la diplomazia e il governo stanno attuando. Senza considerare che proprio due giorni fa, qualche anticipazione su quello che potrebbe essere il nuovo ruolo di Haftar, è stata data dal Wall street journal. «Sotto un nuovo governo populista, l’Italia ha mostrato una spinta a impegnarsi nei confronti del comandante - è il passaggio di un articolo a lui dedicato - Questo è un cambiamento rispetto agli ultimi anni in cui Roma ha favorito il governo rivale di Tripoli, che riconosce». Il giornale fa anche riferimento alle dichiarazioni di un esponente dell’amministrazione Trump. «Certamente vedremmo un ruolo per il generale Haftar in qualsiasi futuro della Libia - sono le dichiarazioni della fonte - Haftar potrebbe guidare il paese? «Questo riguarda il popolo libico».

Senza voler andare così oltre, è comunque certo che qualcosa stia realmente accadendo. La posizione del presidente in carica, Fayez al Serraj, si fa ogni giorno più debole, e il suo ruolo potrebbe non avere più senso. Circa due settimane fa, Sebastiano Cardi, direttore degli Affari politici e di sicurezza per l’Italia, insieme con il capo dell’Ufficio politico militare nel Gabinetto del ministro della Difesa, contrammiraglio Gianfranco Annunziata, hanno co-presieduto la sessione di due giorni che si è svolta a Washington, alla quale hanno partecipato rappresentanti delle agenzie tra Stati Uniti e Italia. Ed è stato confermato l’impegno a migliorare gli sforzi di sicurezza e stabilizzazione nella regione mediterranea. 

Tutto questo mentre ieri è stato ufficialmente comunicato che non ci sarà l’incontro tanto atteso tra Serraj e Haftar, che avrebbe dovuto svolgersi a fine settimana ad Amman, in Giordania. Secondo quanto spiegato ad “Agenzia Nova” da Talal Abdullah al Mayhoub, presidente della commissione per la Difesa e la Sicurezza nazionale della Camera dei rappresentanti libica di Tobruk, il vertice «non è avvenuto, in quanto Haftar, in Giordania già dall’inizio della scorsa settimana per partecipare a una serie di incontri con i militari locali, ha lasciato la capitale del regno hashemita poco prima dell’arrivo di Serraj». La speranza degli osservatori libici era che, dopo le aperture durante il vertice italiano, il re Abdullah II - che da tempo ospita i libici feriti e li cura - potesse fare da mediatore e arrivare a un accordo tra le parti. 

PRESSIONI INTERNAZIONALI
Il quotidiano qatariota edito a Londra “al Arabi al Jadid” ha anche dato notizia dell’arrivo ad Amman di Serraj alla testa di una folta delegazione. Sebbene l’attesa fosse per l’incontro con il comandante di Tobruk che, secondo il giornale, era stato organizzato su pressioni internazionali allo scopo di arrivare a un accordo sul ruolo delle istituzioni militari rispetto a quelle civili in Libia. La base di partenza era la frase attribuita ad Haftar a margine della Conferenza di Palermo: «Non è utile cambiare il cavallo finché non si è attraversato il fiume», avrebbe detto l’uomo forte della Cirenaica al presidente del Consiglio presidenziale. Ora la situazione potrebbe essere cambiata.

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