Giovani e disoccupati, ecco la polveriera Sud

Giovani e disoccupati, ecco la polveriera Sud
di Nando Santonastaso
Martedì 18 Dicembre 2018, 10:39 - Ultimo agg. 14:38
4 Minuti di Lettura
Due anni e sembra che siano passati già invano. Il Mezzogiorno che aveva rivisto la luce all'alba del 2016 dopo quasi due lustri di decrescita tutt'altro che felice, di tassi record di disoccupazione, di allarme sociale a tutti gli effetti pare oggi di nuovo a un passo del baratro. Scoraggianti le previsioni per 2019, al Sud anche uno zero virgola in meno di crescita come quello che si annuncia per l'immediato futuro si paga doppio.

Inequivocabili gli ultimi dati: un giovane su quattro ha un lavoro e nella stragrande maggioranza dei casi nemmeno stabile; l'incidenza della povertà relativa risulta più che tripla rispetto al resto del Paese sfiorando il 30%; la quota più alta di neet continua a concentrarsi tra Campania, Calabria e Sicilia; e il 10% della popolazione vive di pendolarismo fuori regione. Quando tutto questo e tanti altri indicatori scorrono sotto i nostri occhi è fin troppo facile capire perché e quanto cresce il disagio sociale ed economico del Mezzogiorno.

E perché il pericolo di vedere quest'area trasformarsi in una «polveriera», come teme l'ex governatore della Campania e sindaco di Napoli Antonio Bassolino, nell'intervista di ieri al Mattino, è tutt'altro che virtuale. Nonostante il fatto che i principali indicatori economici del Sud siano migliorati tra il 2018 e il 2017, il divario con il resto del Paese è rimasto pressoché immutato. Chi vive nel Meridione, lo ha certificato di recente l'Istat, continua a guadagnare in media quasi meno della metà di chi lavora al Nord. E a pagare più tasse senza avere gli stessi servizi come in questi giorni è stato ampiamente documentato dal nostro giornale.

Si spiega così perché in fondo non fa quasi più notizia che la prima provincia meridionale nella classifica annuale della qualità della vita stilata dal Sole 24ore sia al 73esimno posto. Al più incuriosiscono la circostanza che a brillare (si fa per dire) sia Ragusa o il recupero (parziale) di Napoli che risale di 13 posizioni rispetto all'anno precedente. Ma la realtà, e lo si era già capito da qualche mese, è che il Sud ha frenato troppo presto rispetto alle previsioni, confermando che la crescita non è mai diventata sviluppo e che l'incertezza politica nazionale e la sfavorevole congiuntura internazionale hanno finito per gettare benzina sul fuoco di speranze se non tradite quanto meno disilluse.

 

Il dato delle migrazioni è emblematico. Nell'ultimo rapporto Svimez si legge che 146mila abitanti del Mezzogiorno nel biennio 2016-2017 hanno lasciato il Sud, «è come se sparisse da un anno all'altro una città meridionale di medie dimensioni». Il fenomeno riguarda tutte le regioni del Mezzogiorno, con l'eccezione della Sardegna, spiegano i ricercatori dell'Associazione, con la conseguenza che il peso demografico di questa parte del Paese diminuisce sempre di più ed è ora pari al 34,2% (anche per una minore incidenza degli stranieri). Per ricordare un numero in gran parte già noto, negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno un milione e 883 mila residenti, metà giovani tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all'estero. Quasi 800mila non sono tornati.
Eppure il Mezzogiorno è ancora nel vivo del made in Italy, riesce a competere in settori innovativi come l'aeronautica o l'automotive, brilla in tutto il mondo in un comparto sempre più strategico come l'agroalimentare. E ha persino nuove frecce al proprio arco, dalle Zes ai progetti di rigenerazione urbana che attendono solo di essere realizzati, come chiede da tempo l'Associazione dei costruttori napoletani, e che potenzialmente sembrano in grado di disegnare uno scenario meno triste di quello che la classifica del Sole 24Ore prospetta. Il guaio è che certe performance non sono ancora sistema (e di questo passo chissà mai se lo diventeranno) e la percezione di un futuro ormai segnato rischia di prendere il sopravvento. Non a caso tutti sanno che entro il 2050 il Mezzogiorno potrebbe perdere 5 milioni di abitanti (stima Svimez) per effetto della desertificazione demografica ma pochi si attrezzano per interrompere questa deriva. Persino chi, come gli imprenditori del progetto Convivenza Vesuvio che hanno pronto un piano di reinsediamento nelle aree interne della Campania delle popolazioni più esposte al rischio del vulcano, fanno fatica a farsi ascoltare.

GLI INVESTIMENTI
Al contrario, la spinta fortissima della maggioranza di governo al piano di autonomia rafforzata per le Regioni del Nord più virtuose è già all'ordine del giorno. Ed è difficile immaginare un percorso a ostacoli visto che dall'altro fronte, quello del buon senso e della conoscenza di come stanno effettivamente le cose sul piano fiscale, non si alzano che sporadiche voci. È l'ennesimo paradosso, se si considera che gli ultimi maggiori investimenti privati in Italia sono stati realizzati o annunciati al Sud, tra il piano ArcelorMittal per l'acquisizione dell'ex Ilva di Taranto e quello di Fca per gli stabilimenti di Cassino, Pomigliano e Melfi sul quale peraltro incombe l'incubo della ecotassa. E il paradosso diventa più grande guardando alle migliaia di giovani meridionali che hanno deciso di mettersi in proprio e di lavorare a casa sfruttando l'opportunità di Resto al Sud: possibile che il loro debba continuare ad essere considerato e soprattutto raccontato come una sorta di eroismo?
© RIPRODUZIONE RISERVATA