Arbore: «Napoli città del sorriso, luci più forti del buio»

Arbore: «Napoli città del sorriso, luci più forti del buio»
di Titta Fiore
Giovedì 27 Dicembre 2018, 11:47
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Tra i tanti complimenti ricevuti per il suo nuovo show dei record, «Arbore insegna a sorridere» gli piace particolarmente. Perché in questa frase c'è la formula del successo di «Guarda...stupisci», il programma sulla canzone umoristica napoletana che ha polverizzato gli ascolti di Raidue, e il segreto del suo modo di fare spettacolo. Che poi è tutt'uno con il suo modo di vivere. Con il sorriso sulle labbra, con la solita ironia elegante, Renzo sa affrontare temi impegnativi. E se gli va di parlare di memoria, di tradizione, di resistenza culturale, in una parola di identità, lo fa con leggerezza sapiente, magari in uno studio «ammare» affacciato idealmente sul golfo di Posillipo. Riuscendo ad essere moderno, controcorrente, antiretorico anche quando si occupa di melodia classica.
Con queste caratteristiche il programma è piaciuto a tutti, da Nord a Sud, e non era scontato.
«Uno dei dati sorprendenti riguarda proprio la ripartizione del pubblico, che in alcune regioni settentrionali eguagliava quello della Campania. Sarà perché, come dice il mio amico Gino Paoli, alla fine abbiamo tutti i piedi nell'acqua...».

La modernità del taglio ha conquistato anche una bella fetta di spettatori giovani.
«Dentro c'è tutta la mia cultura napoletana. Da 27 anni porto in giro la canzone partenopea con l'Orchestra Italiana, abbiamo in repertorio 1500 brani, eppure continuo a studiare i classici, che sono stati troppo a lungo ignorati. Mi faceva rabbia che testi meravigliosi di Bovio ed E. A. Mario venissero considerati reperti del passato, quando invece il nostro patrimonio non ha uguali nel mondo. Forse solo i messicani con Cielito lindo e Cucurrucucù Paloma possono darci un po' di fastidio, ma le canzoni napoletane colte hanno spessore pari al melodramma. Mandulinata a Napule o Funtana all'ombra vantano melodie degne dell'ouverture della Turandot. E così le liriche. Finalmente si comincia a capire che non c'è solo Viviani, che capolavori come Palomma 'e notte ed Era de maggio devono essere tutelati come patrimonio dell'umanità assieme alla pizza. Che pure non è disprezzabile...».

Insomma, non bisogna aver paura della tradizione.
«Paura? La canzone napoletana è un bene da esportazione, viene studiata in Cina, in Giappone e in Corea, si rinnova continuamente, è eterna come i Notturni di Chopin».

Torniamo a uno dei leit motiv di «Guarda... stupisci»: Napoli città sorridente.
«Non è retorica, la città mi sembra davvero la più sorridente d'Italia. Per tanto tempo si è parlato solo delle tenebre, ora grazie a Dio, si notano le luci... Lo ha detto anche il maestro Muti, un altro pugliese-napoletano come me».

Però un luogo dove ascoltare la canzone napoletana classica ancora non c'è.
«È il mio grande cruccio. Possibile che, con il Salone Margherita a due passi dal Molo Beverello, un turista non possa andare ad ascoltare la nostra tradizione musicale? Da anni dico che c'è bisogno di un posto per la canzone, e di interpreti con il gusto di eseguirla... Ma confido nell'insegnamento di Vico e nei corsi e ricorsi della storia, prima o poi chi deve decidere ci arriverà. Per conto mio, continuerò con l'Orchestra Italiana, la più longeva orchestra stabile al mondo. Ci vogliono dappertutto ed è sempre un successo, perché queste canzoni sono nel Dna degli italiani».

 

Diverse regioni del Nord vogliono l'autonomia differenziata, che ne pensa lei, da ambasciatore dell'unità canora del Belpaese?
«Sono molto preoccupato, è un brutto segnale. Così non va bene. Per fare l'Italia uguale nei diritti e nei doveri abbiamo avuto due guerre e milioni di morti. Noi vecchi siamo molto legati al nostro Paese, l'idea di dividerlo non mi piace proprio. Per soldi, poi... Ormai idolatriamo i soldi peggio degli americani, abbiamo meno pudore di loro. Da noi chi è più ricco è più bravo. Si ostenta tutto. Anche l'Auditel. Ecco, io ho l'Auditel ma non l'ostento».

Visto il successo, tornerà a occuparsi in tv della canzone umoristica?
«Tornerò al Centro Rai di Napoli, dove sono stato benissimo, per raccontare altri aspetti della nostra meravigliosa cultura. I napoletani me ne sono grati, me ne accorgo. Spero che le istituzioni capiscano il valore di quello che facciamo da 27 anni. C'è voluto un Festival di Sanremo, quando con l'Orchestra Italiana facemmo schizzare lo share alle stelle, per avere un telegramma dal Comune. Poi non si sono fatti sentire più».

Ha mai pensato di tornare a vivere a Napoli?
«A volte ne sono tentato... A Napoli ho passato il periodo più bello della mia vita. C'erano Ghirelli, La Capria, Patroni Griffi e Rosi, c'erano Eduardo e la Scarpettiana. Era una città meravigliosa che ho girato in lungo e in largo e ho conosciuto più a fondo del mio amico Luciano De Crescenzo, che era di Santa Lucia e non si era mai spinto fino a San Gregorio Armeno. Oggi vedo in giro una grande riscoperta delle tradizioni culturali. Vedo che l'identità è sempre salda. Che la gastronomia va fortissimo. Io sono stato sfamato, da ragazzo, dalle tripperie della Pignasecca, dalle friggitorie del Vomero e ho collaudato lo stomaco da Pizzicato, la grande tavola calda di piazza Municipio. Ora non c'è più, il mio stomaco, invece, per fortuna regge ancora».
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