Donnaregina, il capolavoro gotico di Napoli svelato in un libro di Leone de Castris

Donnaregina, il capolavoro gotico di Napoli svelato in un libro di Leone de Castris
di Marco Perillo
Martedì 8 Gennaio 2019, 20:16 - Ultimo agg. 21:23
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C’è un capolavoro dell’arte gotica nel cuore di Napoli. È la chiesa di Donnaregina Vecchia, celata agli occhi dei meno attenti dalla facciata della secentesca Donnaregina nuova, oggi sede del Museo Diocesano. Due chiese uniche che s’intersecano quasi l’una nell’altra, per un percorso museale completo che si estende per oltre 3000 metri quadrati all'interno dei due edifici ecclesiastici. Un monumento che rappresenta in tutta la sua unità un arco temporale che dal ‘300 giunge al ‘600 ma che forse è ancor più remoto, se si vuol considerare la fondazione di un antico convento detto di San Pietro al Monte di Donnaregina risalente all'ottavo secolo dopo Cristo.
 
Proprio grazie al Museo Diocesano la gemma medievale di Donnaregina è oggi aperta ai visitatori. E per farla conoscere nel migliore dei modi è stato di recente dato alle stampe il prezioso volume «Donnaregina vecchia a Napoli – La chiesa della regina» di Pierluigi Leone de Castris (Elio de Rosa editore, 160 pag., 50 euro). Uno scrigno impreziosito dalle fotografie di Fabrizio Acampora e Sara Sglavo e dagli interventi del cardinale Crescenzio Sepe, del direttore del museo diocesano don Adolfo Russo, del soprintendente Luciano Garella, del governatore De Luca, del sindaco di Napoli de Magistris e di Luca Mercuri, amministratore DMG Italia.

Storia, origini e trasformazioni di questo grande monastero sono sapientemente raccontate da de Castris, con la cura e l’approfondimento che gli sono noti. L'autore, pugliese, ha studiato a Napoli e per vent’anni ha lavorato in Soprintendenza come ispettore e poi direttore, curando il nuovo allestimento del Museo di Capodimonte e i cataloghi dei dipinti antichi del museo e di altri musei cittadini. Ha poi insegnato nelle Università di Lecce, della Basilicata e negli ultimi dieci anni, come professore ordinario di Storia dell’arte moderna, nell’Università Suor Orsola Benincasa, dove dirige inoltre la Scuola di Specializzazione in Storia dell’arte.

Tra le sue pagine scopriamo che la chiesa di Donnaregina Vecchia è una delle poche chiese, se non unica, in stile trecentesco e non ha subìto trasformazioni in quanto le clarisse costruirono un nuovo edificio abbandonando quel  gioiello dell'arte medioevale napoletana che, costruita con maestranze locali, importò il gusto francese.

È chiamata la chiesa della regina poiché la grande sovrana Maria D'Ungheria moglie di Carlo II d'Angiò volle vivere in convento al fianco delle clarisse dopo la morte del marito e da quel momento le famiglie napoletane nobili fecero di tutto per far entrare in convento le proprie figliole.

Le clarisse diventarono numerosissime ed erano tutte facoltose e ben preparate. Il convento si estendeva fino a via Duomo quando questa era una uno stretto cardine, il Cardo Major. Ancor oggi unico è il ciclo di affreschi ancora interamente conservato nel coro della scuola di Pietro Cavallini, la cappella Loffredo con affreschi giotteschi che narrano le storie di San Giovanni Evangelista e il monumento sepolcrale della regina opera di Tino di Camaino.
 
Una storia affascinante quella della vita delle suore di clausura dedite alla preghiera, allo studio ed alla beneficenza come volle il papa del momento che le esortava alla carità. Ma non meno affascinante la figura di una regina madre di 14 figli ed in particolare, di un santo e di due re.
 
Vide suo figlio divenire Santo, San Ludovico da Tolosa – racconta Carmen de Rosa, coordinatrice del museo diocesano –, anch'egli vicino all'ordine francescano, che, per abbracciare la fede, abdicò in favore del fratello Roberto che divenne re di Napoli. Altro re fu il figlio Carlo Martello che divenne re d'Ungheria. Una grande regina che dedicò la sua vita alla fede, alla ricostruzione della chiesa gotica, ad imprese importanti in città soprattutto quando il re Carlo venne imprigionato a Palermo. Ancora oggi avvertiamo la sua forte presenza che vien fuori da ogni piccolo particolare, dall'immensa luminosità delle alte bifore dell'abside, da ogni traccia che a lei dobbiamo».
 


 
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