La teleferica spezzata
e il barone dissoluto
che finì sul lastrico

La teleferica spezzata e il barone dissoluto che finì sul lastrico
di Vittorio Del Tufo
Domenica 13 Gennaio 2019, 20:00
6 Minuti di Lettura
«Oggi il mio regno è quella terra di nessuno
Il porto accende ad altri i suoi lumi;
me al largo sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore».

(Umberto Saba, Ulisse)
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«Gianni Agnelli mi disse che amava molto la Gaiola ma che i suoi molti impegni non gli consentivano di goderla come avrebbe voluto. Vi si recava in elicottero, avendo fatto approntare sull'isola un piccolo eliporto e una piscina d'acqua salata. La rivendette nel 1968 alla fondazione Getty di Los Angeles, in pratica al miliardario americano Paul Getty».

Tra i tanti libri dedicati alle memorie di Posillipo, e in particolare della zona di Trentaremi e della Gaiola, ve n'è uno che ha un fascino particolare perché scritto da chi ha avuto il privilegio di abitare in quei luoghi, l'imprenditore (ed ex ministro dell'Agricoltura) Alfredo Diana. A quasi vent'anni dalla prima edizione (Luciano, 1999) torna in libreria

Pausilypon e dintorni, il saggio che Diana ha dedicato ai luoghi del mito e della leggenda. La lettura di questo libro è imprescindibile per chi fosse interessato davvero ad approfondire le origini della leggenda di Pausilypon. Leggenda che risalirebbe addirittura alla fine del paganesimo, quando tra gli scogli della Gaiola e la baia di Trentaremi esisteva un tempio dedicato ad Afrodite Euplea, protettrice dei naviganti che doppiavano il Capo. Un angolo di paradiso che i cristiani avrebbero profanato, scatenando l'ira della stessa dea, che da allora vieterebbe agli uomini un'esistenza tranquilla.
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Da Cicerone a Seneca, fino a numerosi autori contemporanei, molto si è detto e scritto del «fasto rivoltante» di Vedio Pollione, del suo sadismo (i servi maldestri dati in pasto alle murene) e della clemenza dell'imperatore Ottaviano Augusto (che, ospite di Vedio a Pausilypon, lo punì per la sua crudeltà ordinando che venissero distrutti tutti i vasi preziosi conservati nella villa). Molto si è detto e scritto di Pausilypon e della «scuola di magia» di Virgilio, ma ancora poco si sa degli episodi reali - fatti e misfatti accaduti in un passato meno remoto - che fanno tuttora di Trentaremi un luogo della leggenda. E della memoria.

Gianni Agnelli aveva acquistato l'isola, negli anni 60, da un barone tedesco, Paul Longheim, uno stravagante personaggio - non meno eccentrico dell'altro barone, von Carnap, inquilino di Villa della Grotta San Giovanni - che sosteneva di essere imparentato con gli Hohenzoller, la celebre dinastia di sovrani e imperatori germanici. Amante del lusso e degli eccessi, il barone Langheim spese una fortuna per ammodernare la villa della Gaiola, avvalendosi dei consigli della miliardaria americana Peggy Gugghenaim. Nell'isolotto organizzò, tra il 55 e il 65, ricevimenti da sogno riuscendo a dilapidare in pochi anni una trentina di miliardi, tutto il suo patrimonio. I giornali diedero notizia di un fastoso banchetto da lui offerto in occasione della sosta a Napoli del panfilo di Aristotele Onassis, e al quale presero parte teste coronate e divi del cinema, dalla regina Elisabetta a Costantino di Grecia, da re Baldovino del Belgio all'egiziano Faruk; corse voce che in quell'occasione sbarcò alla Gaiola anche Umberto II al quale, com'è noto, non era consentito mettere piede in Italia. «Ai suoi fiabeschi ricevimenti, oltre alle teste coronate, partecipavano molti divi del cinema dell'epoca: gli abitanti della zona assicuravano di aver visto passare, diretti alla Gaiola, Liz Taylor e Marilyn Monroe, Richard Burton e Rock Hudson, Tyron Power e Sofia Loren» (Diana, Pausilypon e dintorni).

Alla fine il gaudente barone fece bancarotta: fu costretto a vendere la sua proprietà e a ritirarsi a vivere nell'albergo San Germano di Agnano, «dove svolgeva funzioni di pubbliche relazioni, sfruttando la conoscenza delle lingue e le molte amicizie». E dove morì, abbandonato da tutti, nel 1980. Gli subentrò Giovanni Agnelli, e ancora oggi c'è chi sostiene che negli anni in cui il proprietario della Fiat legò il suo nome all'isolotto della Gaiola l'industria automobilistica attraversò una delle sue crisi più gravi, soprattutto sul mercato europeo. Se non altro, l'Avvocato valorizzò il complesso dotandolo di una piazzola per elicotteri.

Della fama sinistra e vagamente iettatoria della villa della Gaiola si è detto e scritto molto, forse anche troppo. Fatto sta che Agnelli decise in breve tempo di liberarsene, rivendendola a un altro miliardario, il magnate americano Paul Getty, che progettò anche la costruzione di un tunnel sotterraneo per collegare l'isola alla terraferma (per fortuna non se ne fece niente). La proprietà passò poi al finanziere napoletano Gianpasquale Grappone, detto Ninì, che subito dopo aver rilevato la villa vide fallire la sua società di assicurazioni, Lloyd Centauro. Oggi l'isola, passata in mano pubblica, è parte dell'Area Marina Protetta Parco Sommerso della Gaiola.
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Ma facciamo un passo indietro. Nel novembre del 1926 il grande illustratore Ugo Matania decise di dedicare la controcopertina del Mattino illustrato a un terribile episodio di cronaca avvenuto appena una settimana prima nelle acque della Gaiola. Cos'era accaduto? Negli anni 20, l'isola era collegata alla terraferma da una rudimentale seggiovia che poteva trasportare un solo passeggero per volta: a farla costruire era stato un ingegnere irlandese, Nelson Foley, che aveva acquistato la villa sull'isola da Luigi De Negri, imprenditore finito in bolletta dopo il fallimento della sua società di piscicoltura. La villa passò poi al profumiere tedesco Hans Braun, che la rilevò assieme a un connazionale, il medico Otto Brumbach.

La sera del 19 novembre 1926, mentre nella zona infuriava un violento temporale, Brumbach e la sua giovane e bellissima convivente, la baronessina Hélène von Parish, decisero ugualmente di raggiungere l'isola con la teleferica, dopo aver trascorso la serata sulla terraferma. Il primo a salire sull'impianto fu il medico, che arrivò a destinazione senza problemi. Quando fu la volta della sua compagna, il cavo si spezzò e la donna cadde in mare, scomparendo tra le onde davanti agli occhi del compagno, che aveva già fatto ritorno alla villa e attendeva di essere raggiunto. Quando, il giorno dopo, il cadavere della donna emerse dalle acque di Santa Lucia, il tedesco si era già tolto la vita. Il suo corpo fu ritrovato nel salone della villa, stranamente avvolto in un tappeto. Aveva un foro nella testa, mentre nella mano destra stringeva una pistola. La posizione del cadavere, con il tappeto arrotolato attorno al corpo, autorizzò i giornalisti a nutrire qualche dubbio sul suicidio, ma nessun'altra ipotesi trovò riscontro. Circostanza inquietante, a distanza di pochi mesi anche l'altro proprietario della Gaiola, Hans Braun, morì suicida in Germania.
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Dopo la tragedia della teleferica la villa passò di mano in mano, alimentando altre leggende, fino a quando non se ne impossessò il Signor Fiat. Tra i facoltosi inquilini della Gaiola va ricordato anche il miliardario svizzero Maurice Sandoz, titolare della omonima casa farmaceutica, già proprietario di una splendida villa a Roma affacciata sulle Terme di Caracalla. Villa realizzata, ricorda Diana in Pausilypon e dintorni, dall'architetto André Belobodoroff, «assai noto in Russia per avere diretto il restauro del palazzo del principe Yussupoff, con la famosa sala da pranzo sotterranea dove era avvenuto l'avvelenamento di Rasputin». Almeno Sandoz riuscì a godersi la villa affacciata sul mare di Trentaremi senza incorrere nell'ira di Afrodite Euplea? Tutt'altro: colpito da una grave crisi depressiva e convinto di essere ridotto sul lastrico, la vendette nel 1955 e venne ricoverato in una clinica svizzera, dove morì suicida tre anni dopo.
(2/fine)
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