Vigilante ucciso a Napoli, il figlio: «Pene lievi, il processo è diventato un discount»

Vigilante ucciso a Napoli, il figlio: «Pene lievi, il processo è diventato un discount»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 24 Gennaio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 9 Settembre, 19:59
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Ci hanno provato, ma i giudici hanno risposto picche. Hanno provato a calare la mossa che avrebbe fatto saltare il tavolo, hanno indirizzato al giudice la loro richiesta di messa alla prova. Una mezzora di camera di consiglio e un'ordinanza che ha di fatto spalancato la strada ad una condanna in primo grado. Niente «messa alla prova», dunque, non ci saranno tre anni di buona condotta per estinguere quella maledetta esecuzione per i tre imputati dell'omicidio di Francesco Della Corte, il vigilante ammazzato lo scorso marzo mentre faceva la sua ronda all'esterno della metro di Piscinola. È stato il giudice Angela Draetta del Tribunale dei Minori a dire no all'istanza avanzata dai difensori dei tre imputati, di fronte «alla particolare gravità dell'episodio», chiedendo così alle parti di trarre le rispettive conclusioni.

Ed è lo stesso giudice che firma la condanna per i tre imputati: sedici anni e sei mesi per concorso in omicidio e per la rapina della pistola. Una condanna figlia di un calcolo, dal momento che gli imputati hanno potuto contare sullo sconto di un terzo della pena grazie al rito abbreviato e alla attenuante della loro condizione di incensurati e minorenni.
 
Tribunale dei minori, Colli Aminei, a porte chiuse si celebra il processo a una delle vicende più brutte passate agli archivi della cronaca negli ultimi anni.

Aveva cinquantuno anni, un lavoro e una famiglia, Franco Della Corte. In tre lo hanno ammazzato un po' per noia («era chiusa la cornetteria»), un po' per spavalderia («volevo portargli via la pistola», dirà il leader), un po' per mancanza di coraggio («li ho solo seguiti», dirà la giovane promessa del calcio a Chiaiano, quello che resta un po' più defilato), decidendo poi di rimanere nell'ombra nei tredici giorni serviti ai poliziotti di Scampia per metterli spalle al muro. Ricordate il video? Si vedono i tre in fuga, dopo aver sprangato il metronotte, gli stessi che ieri mattina hanno ribadito le confessioni rese una volta finiti in manette. Ammissioni, richieste di perdono, pentimenti giurati, mani battute sul petto. Eccoli L.C. (difeso dal penalista Mario Covelli), K.A. (difeso dalla penalista Antonella Franzese), C.U. (difeso dall'avvocato Antonino Rendina), nel chiuso di un'aula di giustizia, dopo aver indirizzato richieste di perdono alla famiglia della vittima (assistita in questi mesi dagli avvocati Marco Epifania e Gennaro Galantuomo), nel tentativo di scrollarsi di dosso l'accusa di essere dei mostri.

Poi è toccato al pm Ettore La Ragione tracciare le proprie conclusioni, al termine delle indagini del commissariato Scampia: è stato il pm, nel corso delle indagini, ad insistere sull'esigenza di una condanna da scontare in carcere, tanto da ricordare un classico della narrativa mondiale, il romanzo Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, «un libro - ha detto - che potrebbe tornare utile alla loro formazione».

Ma qual è la reazione dei parenti di Franco? Cosa prova chi si sente privo di un lavoratore che sognava di coltivare un giardino e di stare sempre accanto a moglie e figli?

Spiega Giuseppe Della Corte, che assieme alla sorella Marta e alla madre ha assistito all'udienza di ieri: «La condanna a vita è solo per noi. Per loro invece solo sconti e benefici, un freddo calcolo grazie al quale torneranno liberi sotto i quarant'anni. Ho apprezzato il lavoro fatto dal pm e dal giudice, che si sono opposti alla richiesta di messa alla prova e che hanno anche ottenuto la condanna per omicidio volontario con l'aggravante della crudeltà, ma è ovvio che l'amarezza è tanta». In che senso? «Sono rimasto soffocato dalla rabbia nel vedere le loro confessioni prive di pietà e di emozione, quasi come se fosse una finzione teatrale, sentirli parlare mi ha fatto male. Mi hanno spiegato che per il nostro ordinamento giuridico è una condanna alta, anche se poi mi chiedo perché garantire loro lo sconto di un terzo della pena solo perché hanno scelto il rito abbreviato? Perché tenere ancora in considerazione la loro incensuratezza? Eppure hanno infierito sul corpo di mio padre, su un uomo preso alle spalle di notte mentre lavorava, non gli hanno risparmiato alcuna sofferenza. Credo che le leggi in Italia su questo punto debbano cambiare, perché la condanna deve essere davvero esemplare e il processo non può trasformarsi in una specie di discount giudiziario». Hanno tra i quindici e i diciassette anni, sono detenuti in cella, per loro l'attesa del processo in appello.
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