Diciotti, Conte in campo rassicura Di Maio: se serve parlo io con i dissidenti M5S

Diciotti, Conte in campo rassicura Di Maio: se serve parlo io con i dissidenti M5S
Diciotti, Conte in campo rassicura Di Maio: se serve parlo io con i dissidenti M5S
di Simone Canettieri
Venerdì 1 Febbraio 2019, 07:33 - Ultimo agg. 08:39
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No, le ferite non si sono ancora rimarginate. A metà mattinata Luigi Di Maio manda un messaggio a Matteo Salvini (da poco incontrato a Palazzo Chigi per il vertice «a tre» sui dati sul Pil): «La priorità dell'Italia non è l'immigrazione: ci sono milioni di persone che aspettano reddito e pensione di cittadinanza e quota 100. Non è accettabile che si possa parlare solo di immigrazione, quindi provocatoriamente non risponderò alle domande sull'immigrazione», è il dribbling nel corso di una conferenza stampa sulle promesse mantenute dal M5S (dal reddito di cittadinanza al taglio delle pensioni alte). Il titolo dell'appuntamento è Quello che facciamo diciamo.

LA TENSIONE
Non si parla dunque del caso Diciotti e della mossa del leader leghista, ma gli strascichi continuano. In serata si litiga ancora distanza sulla lettera al Corriere con la quale Salvini ha annunciato di voler respingere la richiesta di autorizzazione. «Era stata preannunciata a Conte e Di Maio», confessa Matteo da Bruno Vespa. Risposta del leader pentastellato: «Non è vero».

In attesa di conoscere le mosse dell'alleato in giunta, Di Maio continua nella strategia di non dire una parola sul dossier. E cioè di non esplicitare la posizione dei sette componenti della commissione. Nonostante, come anticipato da Il Messaggero, siano tutti orientati a dire «no» all'autorizzazione.
La pratica però richiede tempo, perché il giovane Capo politico, come si sa, dovrà comunque farla metabolizzare ai suoi senatori che entro marzo dovranno esprimersi nell'Aula di Palazzo Madama sul caso. Il leader pentastellato mette in conto una quota fisiologica di «no». Si parte dai cinque (area Fico, eccetto De Falco) che si opposero al decreto sicurezza e si arriva, nei peggiori dei casi, a 12 unità. «Troppi».

Ecco spiegato l'iperattivismo del premier Giuseppe Conte. Non solo è pronto a firmare a nome di tutto il governo con l'appoggio dei ministri interessati (Di Maio e Toninelli) una relazione da depositare nella giunta che si riunisce a Sant'Ivo alla Sapienza. Il presidente del Consiglio sarà in Aula con il governo il giorno del voto decisivo e, se dovesse servire, parlerà direttamente anche lui con il gruppo che siede a Palazzo Madama. Anche in pubblico, l'«avvocato del popolo» ieri ha ripetuto: «Parlare di immunità è un grande strafalcione giuridico, definire questo voto un Salva-Salvini è un falso che rischia di fuorviare il dibattito pubblico». Per Conte dunque «bisogna avere chiaro il quesito giuridico a cui saranno chiamati a rispondere i senatori». Ovvero se il titolare del Viminale «abbia agito per il perseguimento di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o di un interesse pubblico inerente alla funzione di governo o se il ministro abbia agito al di fuori del suo ruolo ministeriale per interessi personali». Questi concetti saranno ripetuti anche i senatori del M5S, se ci fossero resistenze, nonostante il verdetto della giunta. E intanto, i due contraenti si preparano a un fine settimana all'insegna della mobilitazione. Da una parte il M5S andrà in giro per le piazze a raccontare i traguardi ottenuti, dall'altra i leghisti raccoglieranno le firme contro il processo al ministro dell'Interno. «Speriamo - scherza un deputato del Carroccio - di non incontrarci ».
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