Sanità, perché De Luca deve andare avanti

di Ettore Mautone
Venerdì 1 Febbraio 2019, 11:15
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Il nodo del commissariamento della Sanità campana (la Regione è in Piano di rientro dal 2007 e commissariata dai ministeri della Salute ed Economia dal 2009), sembra essere giunto al pettine. In questi ultimi giorni si fa sempre più concreta la voce di un’imminente decisione della presidenza del Consiglio dei ministri, con la nomina di un nuovo commissario e subcommissari indicati dai partiti di governo al posto di Vincenzo De Luca. Quest’ultimo da circa un anno e mezzo ricopre il doppio ruolo di presidente e commissario della sanità campana, dopo la stagione dei commissari governativi Joseph Polimeni e Claudio D’Amario.

Prima però il ruolo di commissari era stato ricoperto da Stefano Caldoro e Antonio Bassolino in qualità di presidenti di Regione delle passate consiliature affiancati da sub commissari di nomina governativa. Il nuovo cambio di rotta scaturisce dal collegato al decreto fiscale che, appunto, alla fine dello scorso anno, ha nuovamente introdotto l’incompatibilità del doppio ruolo. Una reintroduzione della regola fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle che non ha fatto mistero di averla concepita contro De Luca. 

Il Mattino non ha mai fatto sconti a nessuno in questi anni, scrivendo pagine e pagine di inchieste sui casi di malasanità, disorganizzazione, denunciando carenze, lacune e insufficienze sorte nel tormentato percorso di riforma di un settore cruciale per la vita civile che incide sulla carne viva dei cittadini e dei medici, spesso diventati facile bersaglio di ogni inefficienza. Un impegno con i lettori e i cittadini, portato avanti durante la gestione Bassolino, proseguito con Caldoro e con De Luca che andrà avanti anche in futuro. Perché, al di là della telenovela formiche al San Giovanni Bosco, la Sanità campana deve ancora fare molti passi in avanti. 
Ora, però, c’è da chiedersi quale sia lo stato di salute attuale del Sistema sanitario campano e se, dati alla mano, sia davvero necessario sostituire il governatore. in questo delicato incarico. Dal punto di vista finanziario, la Campania ha riassorbito uno sbilancio record di 8 miliardi di euro ed è in pareggio di bilancio da cinque anni (dagli ultimi due della consiliatura Caldoro ad oggi). Su questo punto la Campania ha consolidato la sua posizione adempiendo pienamente ai parametri prefissati e ottenuto l’autorizzazione a liberare i circa 200 milioni del gettito delle addizionali regionali Irpef e Irap che, nell’ultima finanziaria regionale, sono stati devoluti ad altre voci di spesa in deficit, come i trasporti e la spesa libera. 

Per quanto riguarda i Livelli di assistenza (Lea in sigla, una sorta di pagella stilata su una griglia di parametri clinici e amministrativi che rimandano alla qualità delle cure erogate e che si fa forte di piani e norme contenute appunto nei decreti del Commissario sempre sottoposti al vaglio dei ministeri, prima di essere attuati) la situazione, tra alti e bassi, è sensibilmente migliorata nell’ultimo anno. Dieci anni fa si partiva da un punteggio di 106 a fronte di una sufficienza fissata a 160. Dai 139 punti conquistati nel 2014 la Campania nel 2015 è precipitata a 109 (un tonfo registrato in una fase di transizione tra vecchia e nuova amministrazione concomitante a un’interruzione anche tecnica del flusso dei dati per il passaggio di consegne tra Arsan e Soresa). Poi nel 2016 si è saliti a 124 per raggiungere i 153 punti nel 2017 (la migliore performance relativa tra le Regioni in quell’anno). Pur restando penultima, sopra la Calabria, la Campania si trova comunque a una manciata di punti dalla sufficienza e con la stima, per il 2018, di raggiungere la piena sufficienza. La situazione campana, diversamente da quella del Lazio, consente, a norma di legge, terminato il triennio dei programmi operativi previsti dal piano di rientro (2016-2018), di chiedere oggi un nuovo Programma sempre triennale (2019-2021) ma di uscita dal commissariamento, da consolidare in un finale percorso di affiancamento. Piano presentato sin dallo scorso luglio e reiterato a novembre al tavolo tecnico di confronto a Roma.

Il recupero dei livelli di assistenza dovrebbe essere consolidato dal via libera al piano ospedaliero, incassato a fine dicembre, e dall’inizio delle azioni previste per il decollo della medicina del Territorio (attualmente il principale nervo scoperto di cui si intravedono i primi passi con la convocazione, nei giorni scorsi, della prima riunione vera in Regione con i medici per il via all’accordo regionale). Il Piano ospedaliero ha consentito di far scattare il semaforo verde anche al Piano triennale delle assunzioni (7600) col riassorbimento di tutti i precari. Sebbene pressoché dimezzato rispetto ai fabbisogni questo percorso permette di riassestare l’offerta ospedaliera. Il piano di assunzioni è stato validato nel bilancio regionale per il prossimo biennio e grazie al recupero di efficienza e al riassorbimento degli straordinari del personale, dovrebbe avvenire in pareggio senza ulteriori oneri per le casse regionali. 

La nomina di un nuovo commissario in questo momento potrebbe, insomma, anche interrompere un percorso a un passo dalla meta senza sostanziali guadagni tecnici e concreti visto che i principali decreti di programmazione (Piano ospedaliero, piano oncologico, Piano del Territorio) sono stati tutti già scritti e validati e sono solo da attuare da parte di manager. Alla luce delle norme sul federalismo e della riforma del titolo V della Carta le funzioni di governo della Salute restano comunque pienamente in capo alla responsabilità dei governi locali. In tale ambito è invece cruciale la funzione di controllo da parte dei ministeri che andrebbe avanti lo stesso per almeno un altro triennio. 

Finora le norme in materia di Piani di rientro sono sempre state scritte e condivise nei Patti della Salute, ossia intese istituzionali forti tra Stato e Regioni da cui sono state recepite norme ad hoc. Lo snodo attuale segnerebbe il primo caso in cui il parlamento interviene legislativamente su questa materia e procede da solo alle nomine di commissari senza passare da una condivisione all’interno del Patto per la Salute da siglare entro fine marzo. Tutti i governi locali hanno per questo chiesto di soprassedere alle nomine di Campania e Lazio in vista di questo imminente confronto. La situazione in Molise e in Calabria è diversa. Qui i nuovi commissari sono già arrivati ma nominati nella seduta del Consiglio dei ministri del 7 dicembre, dunque prima del via libera alla nuova norma sull’incompatibilità e a fronte di un vuoto di 9 mesi in Molise e alla scadenza del mandato in Calabria. Situazione in cui era facoltà del governo scegliere per un commissario esterno anche in base alla precedente norma.

Nel Lazio infine c’è Zingaretti che è stato rieletto Governatore. Era già commissario ed è stato confermato nel ruolo. Il commissariamento continua in quanto il pareggio di bilancio, al netto del gettito delle tasse locali, non c’è ancora. In Campania la stagione dei commissariamenti, come è stata vissuta 10 anni fa con una situazione finanziaria drammatica per il debito e con l’arrivo da Roma di commissari di alto profilo tecnico (come Bruno Zuccatelli e Mario Morlacco) non è più proponibile proprio perché il percorso di risanamento è ormai giunto a un passo dal porto. L’ultimo tratto del miglioramento dei Lea dovrebbe semmai segnare un’alta collaborazione tra Governo e Regione più che uno scontro continuo che rischia di gravare ancora sul percorso di miglioramento dell’assistenza ai cittadini. Se invece avverrà una scelta diversa, magari in vista delle prossime elezioni regionali, le motivazioni saranno politiche. Ma questa è un’altra storia. 
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