«Gli tolsi cuffie e console, così ho salvato mio figlio da Fortnite»

«Gli tolsi cuffie e console, così ho salvato mio figlio da Fortnite»
di Valentino Di Giacomo
Lunedì 11 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 18:03
4 Minuti di Lettura

«Così mio figlio si è assuefatto a Fortnite, per lui era come una droga». Tiziana de Pascalis, di Taranto, è mamma di un bimbo di otto anni, dopo aver letto l'articolo pubblicato ieri dal «Mattino» sugli allarmi della comunità scientifica sul videogame online più in voga tra i ragazzini, ha deciso di condividere con gli altri genitori i mesi passati a cercare di recuperare il figlio dalla dipendenza da videogioco.

Com'è iniziato il suo calvario?
«Ho visto che mio figlio aveva cominciato a giocare a Fortnite, pensavo fosse un passatempo come altri e purtroppo, per mia colpa, non mi sono subito informata di che gioco si trattasse».

E poi?
«Mi ha chiesto di comprargli delle cuffie con il microfono perché questo gioco consente di giocare con altre persone da tutto il mondo con cui si può parlare. Generalmente lui è un bimbo obbediente, ogni volta che gli chiedevo di staccare con i videogame subito lo faceva, invece con questo gioco non riuscivo a staccarlo dallo schermo. Era come sordo a qualsiasi richiamo».

È arrivata alle maniere forti?
«Purtroppo è iniziato una sorta di combattimento tra lui e me finché una volta, presa dal nervosismo, sono arrivata persino a rompergli le cuffie. Nel frattempo anche a scuola mi avevano richiamato perché non riusciva più ad essere attento alle lezioni nonostante sia un bimbo solitamente bravo anche a scuola. Lui gioca a calcio, sport che ama, ma a un certo punto ha iniziato a non voler andare più al campo ad allenarsi pur di giocare a Fortnite».
 
E lei come ha reagito?
«Gli ho tolto qualsiasi possibilità di giocare, ma a quel punto ha iniziato a sviluppare una strana reazione: gli battevano continuamente le palpebre. L'ho portato dall'oculista che ci ha spiegato che il suo nervo ottico era come iper-stimolato e così ha dovuto mettere gli occhiali. Poi ha iniziato anche a incrociare dita e piedi con una forza tale da farsi anche male, una reazione nervosa che non riuscivo a spiegarmi».

Quindi le cose sono peggiorate?
«Sì, infatti ho ripreso a farlo giocare anche se con moderazione. Nel frattempo ho cercato di capire se avesse dei problemi con gli altri bimbi a scuola o a calcio per escludere altre cause, ma confrontandomi anche con gli altri genitori ho capito che la causa principale era Fortnite».

E ha deciso di togliergli nuovamente il gioco?
«Sì, questa storia è durata per circa quattro mesi, ma è stata una lotta continua fatta di mediazioni. Ho provato in ogni modo, lui mi prometteva che avrebbe ripreso a giocare con moderazione, ma riprendeva sempre agli stessi ritmi. Nel frattempo ho cercato di trascinarlo a fare altro e soprattutto a fargli riprendere regolarmente gli allenamenti di calcio. Piano piano sono spariti sia i problemi agli occhi che la reazione di incrociare le dita. A Natale gli abbiamo regalato la PlayStation e così ha iniziato a giocare a videogame di calcio con i quali non manifesta segnali di assuefazione. Ora è un bimbo felice che ha ripreso la sua vita normale».

Non si è rivolta a uno psicologo?
«Ci ho pensato, poi vedendo i progressi fatti da mio figlio non ce n'è stato il bisogno. A me è andata bene, ma alla mamma di un compagno di classe di mio figlio è andata molto peggio».

Cioè?
«Lei ha due ragazzi: uno di 8 anni che è in classe del mio bimbo, un altro di 15. Entrambi hanno sviluppato una dipendenza da Fortnite. Un giorno mi ha chiamato disperata perché il più grande, dopo che lei gli aveva tolto il gioco, le ha distrutto casa rompendo vetri, tavoli e fatto dispetti rompendole tutti i trucchi. Dopo che gli è stato tolto l'accesso a internet, il ragazzino ha scoperto le password e ha cominciato a giocare di notte svegliando pure il fratellino. Entrambi andavano a scuola, ovviamente, manifestando gravi problemi di disattenzione. Questa mamma sta ancora lottando perché i suoi bimbi hanno ancora problemi ed è stata costretta a portarli in terapia».

Come per le droghe.
«Il meccanismo è lo stesso.

Come i pusher danno ai clienti assaggi gratuiti, allo stesso modo Fortnite è scaricabile gratuitamente per assuefare i ragazzini al gioco. Mi assumo le mie responsabilità, non accuso nessuno, ma invito gli altri genitori a stare molto attenti anche se qualche mamma della classe di mio figlio quasi mi prendeva in giro non credendo alla mia esperienza. Purtroppo, ad alcuni genitori fa comodo tenere i figli attaccati a uno schermo mentre loro possono fare altro, ma è pericoloso perché una volta che i ragazzi entrano nel tunnel è faticoso uscirne. Io ce l'ho fatta, ma è stata una fatica incredibile».

© RIPRODUZIONE RISERVATA