Avvocato clochard, ecco i numeri della crisi che ha messo la categoria sul lastrico

Avvocato clochard, ecco i numeri della crisi che ha messo la categoria sul lastrico
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 12 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 17:49
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C'è chi ha chiuso i battenti, preferendo tornarsene in provincia, e chi si è trasferito da zone di prestigio quali Chiaia e il Vomero a zone decentrate. Ci sono quelli che hanno dovuto rinunciare a praticanti, collaboratori, segretarie, e poi chi si è addirittura cancellato dall'albo, mettendo in soffitta laurea e abilitazione. Qualcuno ha addirittura tentato l'avventura, e oggi gestisce una pizzeria. Poi, in quel mondo di sotto popolato da fantasmi - come ha messo in luce la vicenda di «Ludovico», ci sono loro: traditi dagli affetti, dalle amicizie e dal lavoro. Viaggio nella professione forense a Napoli, dove i morsi della crisi economica, delle congiunture e di una situazione che si è fatta di anno in anno più difficile e delicata, non risparmia ormai più nessuno.
 
Cifre rosso sangue. Negli ultimi cinque anni - dal 2012 al 2017 - in Italia ammontano a 937 le persone che si sono tolte la vita a causa della mancanza di lavoro e per problemi economici. Tra loro anche tantissimi professionisti, soprattutto avvocati e commercialisti. La nostra città, purtroppo, non fa eccezione: a Napoli negli ultimi tempi si sono registrati alcuni tragici episodi. Due avvocati si sono tolti la vita, il primo lanciandosi nel vuoto dal ponte del Virgiliano, il secondo impiccandosi nei bagni nella palazzina che ospitava i giudici di pace di Marano. Dopo il caso di «Ludovico» - che dopo la chiusura dello studio legale nel quale lavorava da otto mesi vive in strada in piazza Vanvitelli da clochard - giungono nuove segnalazioni: casi ancora tutti da verificare (come quello di un ex penalista che sopravviverebbe, sempre al Vomero, vendendo cianfrusaglie su una bancarella), ma che indicano lo stato di profondo disagio umano ed economico vissuto da tanti avvocati e professionisti finiti nel baratro delle nuove povertà.

«Che la professione forense stia vivendo un momento di grossa difficoltà è sotto gli occhi di tutti - spiega il consigliere decano del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Napoli, Roberto Fiore - anche se va detto che questa è una situazione triste che investe, seppur con sfumature diverse, tutte le libere professioni. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina: e il sospetto che nei nostri confronti - al di là della crisi generalizzata - ci possa essere anche un disegno per fagocitare la Cassa di previdenza dell'avvocatura, con i suoi cinque milioni di euro, c'è tutto».

«La verità - aggiunge Fiore - è che la nostra classe professionale rischia la decozione. Ricordo ancora i tempi d'oro, era il 1978, quando venne varata la legge sull'equo canone: per gli avvocati civilisti ci fu un'impennata di guadagni consistenti. Da allora la parabola è andata sempre più in fase discendente».

Ma nell'avvocatura napoletana e campana la crisi è generale, e non riguarda solo i civilisti. «Ero titolare di uno studio al Vomero - racconta un noto e apprezzato penalista - ma dopo l'ennesimo rialzo del fitto per lo studio non mi è rimasto che adeguarmi a quanto hanno fatto già tanti miei colleghi: mi sono trasferito in 50 metri quadri a due passi dal nuovo Palazzo di Giustizia. Prima pagavo 1.700 euro al mese, oggi ne verso 400».

A Napoli la parte del leone - nel bene come nel male - tocca ai civilisti, che ammontano a quasi il 90 per cento degli iscritti all'Ordine. Nel solo capoluogo campano si contano poco più di 13mila avvocati, 1.300 dei quali sono penalisti. I praticanti sono circa 7.000. Un esercito di toghe, e i morsi della crisi non risparmiano quasi più nessuno. Si salvano solo gli studi storici e prestigiosi (che pure vivono - va detto - una netta flessione in termini di guadagni).

«Teniamo conto - commenta Francesco Caia, che del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati partenopei è stato presidente per ben tre consiliature - che dietro questo fenomeno generalizzato ci sono molti fattori. Oggi la classe forense è costretta a districarsi in una babele di tribunali e di aule di giustizia: da quelle dei giudici di pace ai tre tribunali che insistono sul territorio: Napoli, Torre Annunziata e Aversa, cioè Napoli Nord. La categoria vive un disagio forte, le cui radici risalgono al 2007, quando la legge Bersani varò l'abolizione delle tariffe professionali immaginando il rilancio di una libera concorrenza che si è invece trasformata in giungla selvaggia. A questo aggiungiamo ila piaga dei ritardati pagamenti delle parcelle, sia per le difese d'ufficio, sia quando a pagare è la pubblica amministrazione. Così i meno forti soccombono, inevitabilmente».

Meglio di ogni altro parlano i dati ufficiali della Cassa Nazionale Forense, che forniscono la radiografia pi aggiornata e lucida di una situazione di evidente crisi della categoria. «Dal 2007 ad oggi - spiega il consigliere dell'Ordine di Napoli, Antonio Tafuri - abbiamo registrato una flessione in termini di dati reddituali che supera il 20 per cento, sebbene si intravveda un flebile spiraglio di luce che indica - per l'anno 2017 - un leggero incremento del due per cento».

«Più nello specifico - prosegue il civilista - nel 2007 il reddito medio degli avvocati iscritti alla Cassa Forense era di 53.314 euro; nel 2016 la cifra è scesa a 38.437».
Il gap tra le varie zone del Paese indica poi una forbice che si allarga sempre più progressivamente da nord al sud. «Al Nord il dato dei redditi medi si assesta sui 55.632 euro, al Centro è di 42.403 mentre da noi al Sud e nelle Isole cala a 22.982».
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