Assolti i ristoratori calabresi accusati di essere vicini alla 'Ndrangheta. Dissequestrati i tre ristoranti

Ristorante " Il Faciolaro" a Roma in via dei Pastini sequestrato dalla Dia nel 2015
Ristorante " Il Faciolaro" a Roma in via dei Pastini sequestrato dalla Dia nel 2015
di Emilio Orlando
Giovedì 14 Febbraio 2019, 21:32 - Ultimo agg. 16 Marzo, 06:56
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L' incubo giudiziario di un imprenditore e di sette suoi collaboratori, accusati di essere prestanomi vicini al clan 'Ndranghetistico degli Alvaro, inziato nel 2015, è finito ieri dopo la pronuncia della sentenza di assoluzione piena emessa dal Tribunale di Roma. Nel teorema accusatorio della procura si ipotizzava che alcuni degli imputati fungessero da teste di legno. Nel dispositivo, di cui bisognerà attendere le motivazioni pronunciato dai giudici della quarta sezione penale presieduta da Roberta Palmisano, si dispone anche la restituzione dei beni, a suo tempo sequestrati dalla direzione investigativa antimafia durante un' inchiesta relativa alle infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle attività economiche nella Capitale.

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Tra gli assolti, oltre a Carmela Lania, Leo Versace e Gianfranco Romeo, figura anche il nome dell’imprenditore calabrese Salvatore Lania ritenuto dall’accusa il "reale" proprietario degli storici ristoranti il “Faciolaro”, la “Rotonda” e il “Barroccio”,  tutti in via dei Pastini in pieno centro vicino al Pantheon. 
Una vittoria , quella del colleggio difensivo degli imputati formato degli avvocati Irma Conti, Giovanna Gallo, Francesco Bianchi e Alessandro Cassiani, che hanno dimostrato con tanto di perizie e consulenze tecniche l’insussistenza dell’ipotesi accusatoria. «Finalmente è stata ridata e restitutita la giusta dignità agli imputati che oggi sono stati assolti - ha commentanto l' avvocato Giovanna Gallo legale di Carmela Lania. Abbiamo dimostrato che i beni erano stati acquistati con denaro pulito proveniente da anni di lavoro nella Capitale». 


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La figura di Salvatore Lania era emersa in un' indagine precedente che aveva portato al sequestro e alla successiva confisca del «Cafè de Paris», sulle infiltrazioni nella Capitale della cosca Alvaro di Sinopoli (RC). L'attività aveva in particolare fatto luce sui rapporti tra Lania e personaggi contigui alla cosca, tutti coinvolti in un vasto commercio transnazionale di merci contraffatte, prodotte in Cina, «sdoganate» a Gioia Tauro (RC) con l'appoggio della cosca Piromalli-Molè, con destinazione finale Repubblica Ceca. Anche il «Cafè de Paris» venne dissequestrato e restituito ai proprietari che nel frattempo erano stati assolti.


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