L'ultimo tesoro del Mann: sotto la moquette riecco i mosaici

L'ultimo tesoro del Mann: sotto la moquette riecco i mosaici
di Davide Cerbone
Sabato 16 Febbraio 2019, 07:30 - Ultimo agg. 12:16
3 Minuti di Lettura
Cinquanta metri di passeggiata nel mito. Un percorso incantato, in cui ogni passo in avanti è un salto all'indietro nei secoli. Il «Mann at work» (così, con un calembour anglofono, i dipendenti hanno ribattezzato il Museo archeologico in continuo divenire) ritrova grazie al cantiere il suo tappeto magico. E si prepara a viaggiare nel tempo. Celata per quarant'anni sotto il legno e la moquette, infatti, riemerge una composizione di mosaici di epoca romana, riportata alla luce dai lavori che il 30 maggio restituiranno al pubblico la sezione Magna Grecia. In tutto diciannove stanze, circa 500 metri quadri, rivestite con pregiatissimi pavimenti recuperati nelle campagne di scavo a Pompei (Villa dei Papiri e Villa di Diomede), Ercolano, Stabia, Capri e in altri luoghi della Campania, databili tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.. Insomma: il paradiso al secondo piano.
 
«Naturalmente, sapevamo benissimo che lì sotto c'erano quei mosaici e stiamo lavorando per rivelarli», chiarisce Andrea Milanese, responsabile degli uffici di museologia e documentazione storica del Mann. «In alcuni casi si tratta di un unico tappeto che occupa un'intera stanza; in altri il pavimento è il risultato dell'assemblaggio di antichi mosaici e tarsie marmoree». Sta di fatto che oggi l'abbagliante splendore delle tessere romane torna a vedere la luce. E la riverbera a sua volta nell'austero corridoio del braccio occidentale che affaccia sul Salone della Meridiana.

«Questi pavimenti», prosegue lo storico dell'arte, «erano in parte utilizzati nel museo ercolanese di Portici, che ai primi del 1800 fu dismesso. Allora, furono smontati e rimontati qui all'Archeologico esattamente com'erano. Sono rimasti scoperti fino al 1957, anno in cui la pinacoteca fu trasferita da qui a Capodimonte. Successivamente, quell'area è stata poco utilizzata e negli anni '80, quando l'orientamento prevalente era improntato alla conservazione piuttosto che alla valorizzazione, è stata fatta la scelta di coprirli per proteggerli», ricostruisce la vicenda Milanese. Quella combinazione di mosaici in bianco e nero e policromi che si abbracciano in armoniose geometrie era così scomparsa sotto il manto di una soffocante premura. Certo, in parte era ricomparsa nell'estate del 2017, con la mostra «Amori divini». Ma dal primo giugno i visitatori si ritroveranno sotto gli occhi e sotto i piedi uno spettacolo unico.

«Dovendo fare un intervento di manutenzione, i pavimenti andavano comunque scoperti. Data la loro bellezza, si è pensato di non ricoprirli», spiega Floriana Miele, funzionario archeologo conservatore, al Mann dal 1997. Prima che venisse sollevato il velo (leggasi: la moquette), d'altra parte, ad impreziosire le sale destinate alla Magna Grecia erano già arrivate grandi pareti risalenti al I a.C., prese dalla villa di Numerio Popidio Floro, a Boscoreale. «Erano conservate nei nostri depositi, abbiamo deciso che era arrivato il momento di esporle», spiega ancora Milanese.

Resta, tuttavia, un dilemma: se è un peccato nasconderli, infatti, quei mosaici è un peccato anche calpestarli. «Proprio così», conferma senza nascondere una certa preoccupazione la dottoressa Miele. E con garbato orgoglio aggiunge: «Credo che questo sia uno dei pochi musei che possa vantare dei mosaici così antichi messi in opera. Questi, tra l'altro, documentano la prima fase degli scavi di epoca borbonica, quella che risale alla metà del 700. «Per il momento», spiega la funzionaria del Museo, «scoprirli ci consente di fare rilievi fotogrammetrici uno a uno con immagini ad altissima risoluzione e una mappatura delle varie fasi di restauro. Operazioni necessarie per studiarli ancora meglio. Ma è chiaro che quei pavimenti pongono problemi conservativi e manutentivi di una certa importanza: si tratterà di trovare un modo per proteggerli, magari limitando l'accesso contemporaneo ad un numero ristretto di visitatori. Una cosa», conclude, «è certa: la zona davanti all'ascensore, che è un'area di movimentazione, va coperta».

Nell'attesa di dirimere i dubbi, però, nel cantiere sempre in movimento del Mann si godono la luce di una bellezza finalmente ritrovata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA