Morto Alessandro Mendini, gigante del design visionario: sua la Poltrona di Proust

Morto Alessandro Mendini, gigante del design visionario: sua la Poltrona di Proust
Lunedì 18 Febbraio 2019, 18:15 - Ultimo agg. 12 Giugno, 11:49
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L'architetto Alessandro Mendini, protagonista di una vera e propria rivoluzione del design nel secondo dopoguerra e artista visionario, è morto oggi nella sua casa milanese all'età 87 anni. Era nato a Milano il 16 agosto 1931 e qui si era laureato, in architettura, al Politecnico.

«Ci lascia uno dei grandi maestri del nostro tempo», scrive la rivista «Domus» nell'edizione online dando notizia della scomparsa. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti da Mendini, due Compassi d'Oro nel 1979 e nel 1981, la laurea honoris causa dal Politecnico di Milano, l'European Prize for Architecture Awards nel 2014 ed è stato nominato Chevalier des Arts et des Lettres in Francia. È passato alla storia con la poltrona 'Proust' per Alchimia edizioni design, le innumerevoli collezioni di oggetti firmati per Alessi e una moltitudine di manufatti per le più importanti aziende di design italiane e internazionali.

Nella sua produzione architettonica ricordiamo il Groninger Museum in Olanda, le fabbriche Alessi, il Forum-Museum di Omegna (1996) e la Torre del paradiso a Hiroshima. Associato in un primo momento allo studio Nizzoli (1960-1970), Mendini è tra i più noti e apprezzati designer contemporanei, protagonista fin dagli anni Settanta del rinnovo della produzione made in Italy grazie alla sua adesione a numerose avanguardie del Radical Design (tra le altre Alchimia, primo luogo delle sperimentazioni sul tema della decorazione, che gli valsero un Compasso d'Oro nel 1981) e a un'instancabile partecipazione al dibattito teorico.

Mendini ha diretto le riviste «Casabella» (dal 1970 al 1976), «Modo» (dal lui fondata nel 1977 e guidata fino al 1981) e «Domus» (1979-1985; 2010-2011), alla cui direzione fu in principio chiamato dallo stesso Gio Ponti, in procinto di lasciare per raggiunti limiti d'età. Fra i suoi scritti più celebri, si ricordano «Paesaggio casalingo» (1979), «Architettura addio» (1981), «Progetto infelice» (1983), «Existenz maximum» (1990): tutte occasioni, queste, durante le quali ha messo a punto concetti fondamentali come «design neo-moderno» (equiparato al Manierismo cinquecentesco, che fu in grado di corrodere dall'interno le regole classiche del progetto), «casa banale» (che riconosce il valore del brutto e del kitsch nel quotidiano) e redesign. Parallelamente, Mendini ha avviato la sua straordinaria e personalissima carriera progettuale (nella quale lo affianca il fratello Francesco con cui ha fondato, nel 1989, l'Atelier Mendini) che lo ha visto collaborare con aziende come Zanotta, Alessi, Swatch, Philips, Venni, Bisazza e Cartier. In campo architettonico, ha firmato il Museo Groninger (1988-1994, 2010), le fabbriche Alessi e il Forum-Museum di Omegna (1996), il Teatrino della Bicchieraia ad Arezzo (1998), la ristrutturazione urbanistica del quartiere Maghetti a Lugano (1998), il rinnovo della Stazione Termini a Roma (1999), il restauro della Villa Comunale (1999) e di tre stazioni della Metropolitana a Napoli (2000), la nuova Fiera e la nuova sede della Triennale di Milano a Incheon, in Corea del Sud (2008-2009). Internazionalmente riconosciuto come raffinato ricercatore di un approccio sui generis all'oggetto (edilizio o di design), che affonda le radici nello stretto legame tra arte e progetto, con particolare interesse all'uso del colore, e una sottile e costante vena ironica, Mendini è stato fortemente critico, fin dagli esordi, nei confronti della società dei consumi e costantemente in bilico tra ispirazioni provenienti, da un lato, dall'immaginario letterario e, dall'altro, dal mondo popolato d'immagini di quadri e pitture che lo accompagnano fin dall'infanzia.

Sue alcune delle più note icone della produzione italiana degli ultimi sessant'anni: dalla poltrona Proust (1978), alle innumerevoli collezioni di oggetti firmati per Alessi, una moltitudine di manufatti che - come ha notato la critica più attenta e recente - ripercorre l'ossessione del padre putativo di Alessandro Mendini, Gio Ponti, per uno scarno gruppo di tematiche fondamentali (l'ideario pontiano), sviscerate in una serie infinita e diacronica di declinazioni. Attraverso una pratica che è tipica dell'artista: la costruzione di fantasie grafiche e decorative, intese come segnale diretto e senza intermediari di quello che lo stesso progettista ha definito il proprio «pensiero visivo», nonché «atto vitale».

Ai primi anni della carriera di Mendini risalgono le opere poi categorizzate come «oggetti ad uso spirituale» (la sedia «Lassù», la seduta «Scivolavo», la «Valigia per l'ultimo viaggio», tutti realizzati tra il 1974 e il 1975) che mirano a sganciarsi dalla consueta razionalità d'uso intrinseca alla loro natura: un bagaglio in pietra impossibile da sollevare, una sedia tanto alta da doversi arrampicare, l'altra realizzata in forme e dimensioni inusuali e stranianti, concepiti per spingere a riflettere sulla natura transitoria tanto degli oggetti quanto dell'esistenza dell'uomo.
Pezzi unici, proto-forme, spesso oggetti auto-costruiti e più simili alle performance artistiche, destinati a una distruzione programmata, ricorda la rivista «Domus», che sfidano la concezione del design come frutto del solo soddisfacimento del criterio di funzionalità e che, rifacendosi alla tradizione delle avanguardie artistiche d'inizio novecento (Dadaismo e Surrealismo), propongono paradossi visivi volti a stimolare riflessioni critiche sul funzionalismo medesimo.
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