Raggi e la vendetta contro Salvini: otto mesi di guerra e un’Opa fallita

Raggi e la vendetta contro Salvini: otto mesi di guerra e un’Opa fallita
di Simone Canettieri
Martedì 19 Febbraio 2019, 00:00 - Ultimo agg. 09:02
4 Minuti di Lettura

Virginia Raggi non vedeva l’ora: un voto su Rousseau per sferrare, urbi et orbi, il più mancino dei tiri sinistri a lui, Matteo Salvini. Il ministro dell’Interno che da mesi la punzecchia con fare chirurgico su tutte le cose che «non vanno», e sono tantissime, a Roma; ma anche il leader della Lega che lo scorso novembre - con la sindaca alle prese con un processo che l’avrebbe potuta far dimettere in caso di condanna - era pronto alla scalata del Campidoglio. Con le truppe posizionate già sotto la Lupa. «Mi dispiace, ma la sua Opa è andata male», fu la risposta secca della grillina, commentando l’assoluzione. 

E così ieri Raggi - in compagnia dei colleghi Chiara Appendino di Torino e Filippo Nogarin di Livorno - dalle pagine de Il Fatto ha detto al ministro che si deve far processare. E dunque testuale: «Io non dico agli altri che cosa debbano fare. Posso dire però che io un processo l’ho affrontato a testa alta e sono stata assolta», ha scritto Raggi. «È una questione strettamente personale. Le responsabilità, anche quelle politiche, devono restare personali». Una posizione politica servita fredda come la vendetta? Forse. Comunque, quando i vertici del M5S hanno preso atto della trincea di questi tre sindaci usciti dai radar della casa madre sono andati in fibrillazione. Non tanto per Appendino, e nemmeno per Nogarin. 

Ma per Raggi, appunto. Piccola parentesi: Virginia, come ha registrato Leggo poche settimane fa, è il sindaco più social del mondo, con quasi 1 milione di amici su Facebook. Sicché una sua parola viene letta e “passa” anche tra gli attivisti di Pordenone e quelli di Siracusa. Insomma, il suo verbo non rimane solo dentro il Raccordo. Visto che in ballo c’era anche la linea Di Maio sul caso Diciotti (neutrale quanto interessata a non creare ulteriori sconquassi al governo) a metà mattinata la sindaca si è trovata costretta a spiegare: «Le mie parole su Salvini? Sono state ingigantite». 

IL MARITO
Che la grillina a casa facesse questi ragionamenti - anti-salvinisti - era però già chiaro da domenica. Quando il marito Andrea Severini, prototipo dell’attivista del M5S e grillino purissimo, ha scritto: «Non si deroga sui nostri principi, i processi si affrontano come hanno fatto Chiara, Filippo e Virginia. Sono convinto che non esista reato e Salvini non può nascondersi dietro di noi». Tanto che aveva annunciato il sì al processo. Che è appunto la posizione della moglie e di gran parte dei consiglieri comunali pentastellati. Gli stessi che (eccetto tre defezioni che fecero notizia) votarono contro il decreto sicurezza targato Salvini in Aula Giulio Cesare e, per giunta, d’accordo il Pd. Anche gli assessori del Comune sono tutti per il sì all’autorizzazione. Ma, come scherza uno di loro, «molti non possono accedere a Rousseau perché sono iscritti al Pd, magari alle primarie lasceranno un post-it». Battute a parte, la guerra ad alta intensità tra il Campidoglio e il Viminale è ormai un classico delle cronache romane, e non solo. Virginia rinfaccia a Matteo la copertura a Casapound, Matteo le imputa di non essere una buona sindaca: «Tanti romani, spesso mi fermano esasperati...». E quindi lei chiede «più polizia» e lui le risponde «non si possono fare i rally nella città, qui a Roma ci sono gabbiani che sembrano pterodattili». Ieri dal Campidoglio hanno spiegato così l’affondo: «Il nostro obiettivo era Salvini, non certo la linea di Luigi». La faccenda porterà ripercussioni. Basterà una buca: c’è l’imbarazzo della scelta
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA