I pregiudizi e le bugie dei secessionisti su tasse, regole e promesse di equità

I pregiudizi e le bugie dei secessionisti su tasse, regole e promesse di equità
di Marco Esposito
Martedì 19 Febbraio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 19:54
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Dopo mesi, anzi anni, di sonnacchiosa azione sottotraccia, l'autonomia «hard» di Veneto e Lombardia è diventata tema centrale, con il timore - ormai diffuso dai sindacati ai vescovi - che si stia spaccando l'Italia. E questo sta costringendo il fronte «secessionista» ad aggiornare le parole d'ordine. Prima, quando Roma e il Sud lasciavano (colpevolmente) fare, i presidenti di Veneto e Lombardia parlavano solo al loro mondo e annunciavano l'arrivo di tanti soldi extra. Roberto Maroni arrivò a dire in un'audizione parlamentare che la sua regione, la Lombardia, si sarebbe accontenta di portare a casa 27 miliardi in più all'anno. Altri tempi. Ora che il resto d'Italia si è svegliato e ha deciso di far di conto, le parole d'ordine dei «secessionisti» vengono aggiornate all'insegna dell'equità e della solidarietà. Ma cambiare strategia in corsa non è facile. E così sovente il fronte autonomista scivola su affermazioni inesatte, se non in vere e proprie bugie. Eccole.
 
Il popolo si è espresso.
Non tutto. Il 22 ottobre 2017 si sono tenuti due referendum consultivi, in Veneto e in Lombardia, ai quali hanno votato nel complesso 5,4 milioni di elettori, pari al 45% dei lombardoveneti e al 10% del corpo elettorale nazionale. La sovranità appartiene al popolo, recita la Carta, ma sul tema si è espressa (a titolo consultivo) una sua parte.

Sono soldi nostri.
Mica vero. C'è un principio secolare della democrazia riassunto nella frase «no taxation without representation». Le tasse possono imporle solo i legittimi rappresentanti del popolo. Quindi le tasse stabilite dal Parlamento italiano (Iva, Irpef nazionale e così via) sono a disposizione dei bisogni del popolo italiano, negli importi votati nella legge annuale di bilancio, e nessun territorio può rivendicarne la proprietà. Le tasse del Veneto sono le addizionali e le imposte locali decise dalle assemblee elettive locali, il cui gettito ovviamente è destinato a quei territori.

Lo Stato trascura il Nord.
Falso. Da 25 anni grazie a Carlo Azeglio Ciampi c'è un sistema di contabilità nazionale che permette di raffrontare la spesa del sistema pubblico sul territorio, considerando tutte le parti che compongono lo Stato. I dati del rapporto Cpt 2018 sono inequivocabili: 14.988 euro al Centronord e 12.033 procapite per i residenti nel Mezzogiorno. La media italiana è 13.960. Il dettaglio regionale vede la Lombardia a 14.869 procapite, il Veneto a 12.815, l'Emilia Romagna a 14.781, il Lazio a 18.569, la Campania (ultima su 21 enti) a 10.832 e la Puglia a 11.973 euro. Invece Erika Stefani ha pubblicato sul sito del suo ministero tabelle che mostrano una spesa parziale, meno della metà di quella complessiva.

Il Sud paga meno tasse.
Vero il contrario. I pregiudizi sono duri a morire e uno di questi è la minore fedeltà fiscale del Sud, mentre l'evasione è un tema nazionale. Le tasse pagate in rapporto al Pil vedono infatti una classifica che non conferma l'idea di un Sud evasore. Anzi. Ecco i dati ufficiali Ctp relativi all'ultimo anno disponibile (il 2016). Al Nord abbiamo Lombardia 32,4%; Veneto 31,2%; Emilia Romagna 32,4%. E il Mezzogiorno? In media versa il 34,1% con la Campania al 33,5%, la Puglia al 34,9% e la Sicilia al 35,8%.

È il solco della Carta.
Non proprio. La Costituzione, certo, prevede il regionalismo differenziato, ma inserito in un quadro che comprende i fondi perequativi e i livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale. Forzare l'attuazione solo di una parte della Carta rende il sistema squilibrato, aumentando le già forti differenze territoriali.

L'intesa non si emenda.
Ingenuo. Zaia insiste a dire che «la Costituzione è chiara» e che l'intesa va approvata in Parlamento «con un sì o un no». Però la Costituzione afferma che la legge sull'autonomia va approvata dal Parlamento «sulla base» dell'intesa tra Stato e Regione. Quindi può essere emendata. E del resto più di una volta sono state emendate dalle Camere le intese raggiunte tra Stato e confessioni religiose, ai sensi dell'articolo 8.

Non togliamo al Sud.
Errato. La bozza del 14 febbraio Stato-Veneto prevede una serie di garanzie in base alle quali il trasferimento di risorse al Veneto può aumentare e mai diminuire rispetto alla spesa storica. Per esempio se i fabbisogni standard su un determinato servizio daranno un risultato favorevole al Veneto, si applicherà il nuovo sistema. Se invece daranno un risultato inferiore, si aprirà il paracadute degli attuali livelli di risorse.

I Lep saranno garantiti.
Fumoso. I livelli essenziali delle prestazioni sono il cardine della Costituzione federalista del 2001. Secondo quanto affermava Giancarlo Giorgetti nel 2016, «il fatto che non si sia fatto nulla sui Lep sta a testimoniare che manca uno dei punti cardine su cui costruire tutto il sistema». A tre anni da quella dichiarazione, ancora non si è fatto nulla sui Lep. La bozza d'intesa Stato-Veneto cita i Lep più volte (per esempio per l'istruzione) ma non pone alcuna regola che leghi la definizione dei Lep al trasferimento di risorse. Anzi: nella bozza d'intesa ci sono meccanismi automatici che scattano anche se non dovessero essere calcolati i fabbisogni standard.

La spesa media è equità.
Ridicolo. La Stefani ha pubblicato una tabella con la spesa media per Regione di alcuni servizi. Le differenze territoriali sono forti. Per esempio l'istruzione universitaria va dal minimo di 93 euro procapite in Puglia al top di 163 in Emilia Romagna. Vuol dire che la Puglia è efficiente e l'Emilia spendacciona? Ovviamente no. La spesa va riferita ai servizi forniti e quindi agli studenti iscritti. Per l'istruzione scolastica, la Stefani mostra i 685 euro procapite della Calabria e i 636 euro della Campania come prova dell'inefficienza rispetto ai 477 euro del Veneto e 459 euro della Lombardia. Eppure le differenze sono facilmente spiegabili con l'anzianità media dei docenti. I prof in genere sono assunti al Nord e man mano che maturano punteggio si trasferiscono verso Sud, con stipendi più elevati. Invece secondo la bozza StefaniZaia queste differenze si devono tradurre (solo quando favorevoli al Nord, si badi bene!) in un repentino travaso di risorse dalle scuole del Sud a quelle del Nord.

Le Regioni sono capaci.
Indimostrato. Non c'è alcuna prova che le amministrazioni regionali siano più capaci di quelle statali (o viceversa). L'elenco di scandali e rimborsopoli che hanno travolto le Regioni è lungo e certificato da condanne anche in Lombardia e Veneto, con inchieste che hanno colpito direttamente gli ex governatori Roberto Formigoni (per la sanità) e Giancarlo Galan (sulle infrastrutture). Lo scioglimento anticipato dei Consigli regionali ha riguardato - da Sud al Nord - Calabria, Basilicata, Molise, Abruzzo, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte.
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