Tav, Di Maio e Salvini ai ferri corti. Toninelli sul piede di guerra

Il ministro Danilo Toninelli
Il ministro Danilo Toninelli
di Marco Conti
Martedì 5 Marzo 2019, 17:11 - Ultimo agg. 7 Marzo, 17:54
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ROMA Le slide, i tecnici del ministero delle Infrastrutture, i professori della costi-benefici. Per l'appuntamento no limits a palazzo Chigi di questa sera Giuseppe Conte è pronto a fare le cose in grande, malgrado il mercoledì delle ceneri impedisca le frappe. D'altra parte sulla Tav, come sulla Diciotti o la manovra di bilancio dello scorso dicembre, è in gioco «l'interesse nazionale» e quando i due vicepremier sono imballati nei rispettivi «pregiudizi di parte», Conte ha dalla sua l'articolo 95 della Costituzione.

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IL TORMENTO
E poichè il presidente del Consiglio «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile», la scelta che verrà fatta entro venerdì sarà prettamente politica e quindi l'analisi costi-benefici del professor Ponti potrebbe avere un peso molto relativo. Un percorso che Conte ieri mattina ha illustrato a Di Maio e Salvini alla presenza del ministro Toninelli. Insofferenti e non più in reciproca sintonia i due vicepremier, e pronto alle dimissioni il titolare di Porta Pia che oltre e non condividere troppo i criteri di Conte, non sembra reggere la dura contestazione della base grillina che lo accusa di non essere riuscito a chiudere ancora la vicenda. Critiche forse eccessive visto il pressing leghista e anche il testo del contratto che non parla di abbandono dell'opera, ma di rivisitazione nell'ambio dell'intesa già stretta con Parigi. Salvini ha fretta. Vuole la Tav, è al massimo disposto a cedere qualcosa sulle opere accessorie, ma soprattutto vorrebbe chiudere al più presto un tormentone che lo sta mettendo in difficoltà con le regioni del Nord.

Il punto di caduta di una vicenda che si trascina da mesi - ma che per forza deve concludersi prima di lunedì per permettere a Telt di decidere cosa fare dei bandi di appalto - è più o meno quello che si scrive da giorni. Ovvero non impedire che partano i bandi Telt salvo poi riservarsi, come prevede il diritto francese, di revocarli entro sei mesi qualora non si riesca a convincere i francesi che è meglio dirottare i finanziamenti sulla vecchia linea del Frejus. In questo modo il governo potrebbe respirare almeno sino a maggio se non oltre. Con la Lega che alle elezioni potrebbe sostenere che la Torino-Lione va avanti e il M5S che potrebbe argomentare di voler comunque bloccare tutto, magari dopo le Europee. Una soluzione a metà che non accontenta del tutto i contraenti della maggioranza, ma che sembra l'unica possibile. I problemi più grossi che però incontra questa soluzione sono nel M5S. Di Maio, silente da qualche giorno e arrabbato con Salvini che accusa di ingratitutidne, fatica a tenere i gruppi parlamentari. Al Senato i grillini hanno già perso molto e la fronda anti Salvini cresce, come dimostrano anche le assenze di ieri alla Camera al momento del voto sulla legittima difesa. E così il problema più complicato di Conte è quello di trovare una soluzione che permetta a Di Maio e al M5S di non passare per sconfitto. Per dimostrare di voler combattere sino in fondo, nel M5S prende quota l'idea di presentare in Parlamento - dopo il via libera a Telt - un ddl che dovrebbe smontare la legge obiettivo e spingere il governo a rivedere gli accordi con la Francia. Una battaglia identitaria destinata alla sconfitta, visto i numeri in Parlamento dei favorevoli alla Tav - ma che secondo qualcuno potrebbe permettere al M5S di restare a testa alta.

IL PESO
D'altra parte il paradosso che si consuma al tavolo della Tav e che, malgrado l'importanza che ha assunto l'opera, nè Di Maio nè Salvini vogliono giocarsi il governo. Ognuno dei due vicepremier è infatti convinto che l'altro alla fine alzerà il piede dall'acceleratore, ma il rischio di fare la fine di Thelma&Louise è forte. Le occasioni non mancano, visto che al Senato dovrà ripassare la legittima difesa e che sempre a palazzo Madama si voterà il 20 sulla richiesta di processare Salvini e il 21 sulla mozione di sfiducia del Pd a Toninelli. Dalle parti della Lega c'è la convinzione che se perdono peso la contestata analisi costi-benefici e i pregiudizi di entrambe le parti, restano i contratti e il trattato con la Francia. Due argomenti destinati a pesare sulla scelta che venerdì farà Conte. Il rischio di incappare in una responsabilità per danno erariale è infatti forte su un'opera già approvata e con soldi già stanziati. Così come è politicamente pericoloso per la credibilità internazionale stracciare unilateralmente un trattato e revocare contratti.

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