Giallisti partenopei pentiti: «Uccidiamo troppe donne»

Giallisti partenopei pentiti: «Uccidiamo troppe donne»
di Ugo Cundari
Domenica 17 Marzo 2019, 11:40
3 Minuti di Lettura
Rosi dai sensi di colpa («penitenziagite, penitenziagite»!), i giallisti napoletani dell'associazione Napolinoir si sono riuniti ieri alle 17 a Casa Lavazza in via San Biagio dei librai per fare ammenda pubblica dei loro peccati. Ha spiegato Maurizio Ponticello, presidente dell'associazione: «Uccidiamo troppe donne nei nostri gialli, non vogliamo sentirci responsabili di una sottocultura che vede nella donna il principale strumento di sfogo, l'obiettivo contro cui rivolgersi in un momento di violenza».

Autore di La nona ora in cui c'è una donna vittima di stalker che finirà in una spirale di torture e sofferenza, Ponticello si è pronunciato anche a nome degli altri colleghi giallisti di Napoli noir, come Diana Lama, Ugo Mazzotta, Martin Rua, Paolo Calabrò, la corrente newpolitana del thriller. «Facciamo un passo indietro rispetto alla realtà che raccontiamo. Stavolta a confessare siamo noi autori, non i nostri assassini. Confessiamo di sentirci a disagio e chiediamo ai lettori, e alle lettrici, di non confonderci con chi si macchia davvero le mani di sangue di donna».
Per una volta, la più accanita contro le donne è una donna, Diana Lama: «Anche io faccio mea culpa, ne avrò uccise un centinaio in sessanta racconti e nove romanzi, a mia discolpa, prò, ho un piccolo numero di donne assassine, venti. Le donne sono le vittime preferite dei giallisti perché sono più emotive degli uomini, hanno una sensibilità maggiore e risulta più facile descriverne le emozioni come ansia, paura, terrore, sospetto». Per la Lama, autrice di romanzi come 27 ossa, «le donne hanno una insicurezza di base che ne fa le vittime perfette, nelle quali immedesimarsi con più facilità. Le poche assassine hanno un loro fascino perché uccidono con un metodo più razionale e ben programmato». In L'anatomista la scrittrice ne uccide in media una ogni ottanta pagine. Nel giallo appena finito, dal titolo provvisorio La mano longa e ancora in cerca dell'editore più interessato, la storia inizia con una donna uccisa, quindi il tetto delle cento donne assassinate è superato.

«Prometto che nel prossimo romanzo cercherò di aumentare le donne assassine e diminuire il numero delle donne uccise», rilancia Martin Rua, «ma di solito faccio comparire sempre un buono che poi le vendica e fa mettere in carcere gli assassini». Rispetto a Ponticello e Lama, Rua uccide le donne con ancor più efferatezza, a qualcuna ha mozzato le mani, qualcun'altra è stata vittima di rituali macabri. Nel romanzo che sta finendo non cambia ancora rotta, anzi ne muoiono cinque in poche pagine, c'è di mezzo un serial killer nella Napoli dell'Ottocento.
Ieri è stato stipulato un patto di amicizia tra Napolinoir e l'associazione di volontariato Vision, osservatorio di vittimologia, presieduta dal sociologo Ferdinando Tramontano. Prima iniziativa in comune sarà una non meglio identificata «biblioteca delle donne» con cui portare nei centri antiviolenza campani convegni e dibattiti, avviare raccolte di libri scritti da donne, preferibilmente quelli in cui loro uccidono, gli uomini soccombono.
© RIPRODUZIONE RISERVATA