Perché con il Pil fermo l'ora dei rinvii è finita

di ​Enrico Del Colle
Martedì 19 Marzo 2019, 08:46
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Eravamo tutti con il fiato sospeso e la notizia tanto attesa è arrivata: il giudizio di Moody’s sull’Italia resta invariato, confermando quanto espresso nell’ottobre scorso e tutto sommato non ci è andata male. Ma mentre stavamo “riprendendoci” – se ci fosse stato un declassamento saremmo “precipitati”, con titoli di Stato a livello di spazzatura, con lo spread alle stelle e con il conseguente aumento dei tassi di interesse da pagare sul debito pubblico - arriva la notizia da Bankitalia che proprio il debito pubblico, rilevato nel gennaio scorso, è salito del 3,14% rispetto a 12 mesi prima, raggiungendo la cifra record di 2.358 miliardi di euro. Pertanto, non c’è da stare tranquilli anche perché le stime di crescita del Pil italiano per il 2019 formulate dalle più importanti Istituzioni (Ue, Ocse, Fmi, Istat e Bankitalia), seppur leggermente diverse, non arrivano all’1%, cosa che, se confermata, non compenserebbe l’effetto negativo del deciso incremento del debito pubblico. Nel frattempo si sta avvicinando a grandi passi il 29 marzo, giorno di scadenza del “decretone” contenente le norme che regolano i due provvedimenti più importanti del presente governo, cioè Reddito di cittadinanza (d’ora in poi Rdc) e Quota 100, la cui operatività dovrebbe contribuire in misura determinante a far crescere l’economia del Paese (e quindi il Pil).

In questi giorni, in fase di conversione in legge, si cerca febbrilmente di migliorarne i contenuti nelle opportune sedi parlamentari, ma al di là di alcuni interventi correttivi inseriti in opportuni emendamenti (revisione dei benefici per le famiglie numerose e con disabili, pensione di Cittadinanza ad un bacino più ampio, riscatto della laurea a fini pensionistici senza limiti di età, possibilità di assumere nella Pa e altro ancora), restano sullo sfondo diverse questioni che mandano segnali forti e non certo positivi, provenienti da queste settimane iniziali di “dinamismo” delle due misure e che provocano incertezza e insoddisfazione tra la gente. Vediamo quali sono: l’attuazione del Rdc, che ha tra i suoi obiettivi quello di ridurre la povertà e la disoccupazione, sta evidenziando come, tra le circa 500mila domande già pervenute attraverso i differenti canali, più o meno la metà sembrerebbe priva dei requisiti necessari e ciò spinge a ritenere che, o non sono sufficientemente chiare le modalità di accesso, oppure sono tentativi “maldestri” che però creano confusione e perplessità anche perché appare arduo il compito di individuare i richiedenti che, pur non trovandosi nelle condizioni di povertà, dichiarano di esserlo; poi c’è la necessità di fronteggiare il lavoro nero, nemico numero uno del Rdc, così come andrebbe parametrato il Rdc anche in funzione del diverso costo della vita esistente sul territorio del Paese. Sul fronte del contrasto alla disoccupazione sarebbe opportuno tenere conto anche delle stime (Istat 2018) sulla tipologia dei posti vacanti nelle imprese e per la copertura dei quali il datore di lavoro cerca attivamente un candidato idoneo: ebbene, oltre alle consuete istanze nel settore del Commercio, le posizioni più richieste riguardano i settori tecnologicamente più avanzati come le attività finanziarie e assicurative, i servizi di comunicazione (e di informazione) e nel campo artistico. Occorre, pertanto, orientare la formazione dei disoccupati con Rdc verso questi settori e non in maniera generica. 

Passando alla Quota 100 non appare meno incerto il suo percorso attuativo che ad oggi vede la presentazione di circa 100mila domande di cui il 70% circa equamente ripartito tra dipendenti pubblici e privati: è sufficiente segnalare l’iniquità, rispetto al passato, relativa sia alla possibilità data ai “quotisti” pubblici di incassare subito buona parte del Tfs, mentre, ad esempio, chi è andato in pensione nel 2018 dovrà aspettare non meno di 24 mesi e sia alla possibilità di riscatto degli anni di laurea mediante costi ridotti (e detraibili). Sull’incertezza di Quota 100 pesa anche il fatto che, come ormai segnalato da più parti, nei prossimi tre anni mancheranno interi contingenti di lavoratori non facili da sostituire in breve tempo (come il personale medico e della scuola) e verrà a mancare di conseguenza più di un miliardo di euro nel solo 2019, per contributi non più versati dai pensionati Quota 100, il che farà sicuramente male al nostro debito pubblico. Insomma, i due provvedimenti non danno certo garanzie di stimolare l’economia del Paese, tanto è vero che il ministro Tria sta cercando di correre ai ripari con il varo di un pacchetto di misure volte a rilanciare il Pil ed a impedire un’eventuale (dolorosa) manovra correttiva. Il pacchetto dovrebbe contenere, tra l’altro, il ritorno del superammortamento, varie agevolazioni fiscali, contributi pubblici per le Pmi operanti nel digitale e qualche semplificazione del Codice appalti. Sarà sufficiente? Speriamo di si, perché abbiamo una “disperata” urgenza di crescere! 
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