Spari nel salotto di Napoli: «Terra contesa dai clan, qui ci scappa il morto»

Spari nel salotto di Napoli: «Terra contesa dai clan, qui ci scappa il morto»
di Paolo Barbuto
Mercoledì 20 Marzo 2019, 07:00 - Ultimo agg. 18:08
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La guardia giurata parla fitto fitto al telefono, sta aggiornando un collega: «Lo sai che hanno trovato un altro colpo in una saracinesca? È alla gioielleria De Simone, qui dietro, su via Toledo». Su piazza Trieste e Trento sciamano centinaia di turisti distratti, non s'accorgono dei capannelli di residenti e negozianti che parlano solo della paura, dei colpi di pistola, della nuova notte di malavita.
 


Adriano Gaito è presidente della Fondazione Circolo Artistico Politecnico che affaccia sulla piazza: «Questa è terra di nessuno, ognuno fa quel che vuole, così anche i violenti trovano spazio», dice di primo acchito dopo aver spiegato che la vicenda dell'ultimo raid notturno l'ha sentita dai racconti perché a quell'ora il Circolo è chiuso. «Per restituire dignità a questo luogo sarebbe necessario un presidio fisso, 24 ore al giorno, perché appena le forze dell'ordine si allontanano succede di tutto. Non so se rivolgermi al sindaco perché ci tuteli con la polizia municipale, al Questore affinché faccia restare qui in maniera fissa una volante, o al Prefetto che si trova a qualche metro da questa piazza e potrebbe imporsi per chiedere un controllo costante».
 
Solo nell'ultimo anno ci sono stati almeno sette eventi malavitosi «ufficiali», ne leggete i dettagli nel grafico qui di fianco. Però i residenti sorridono davanti a quel numero così esiguo. La signora Lina che abita a via Nardones ma affaccia sulla piazza, spiega che i raid dei ciclomotori con persone che mostrano platealmente le armi sono talmente frequenti da aver assunto le caratteristiche della normalità. Sembra un'esagerazione ma la signora Lina s'inalbera e chiede il conforto di un gruppo di anziani che fa capannello lì vicino: «Questo signore non ci crede, quante volte vediamo passare le motociclette con le pistole?», gli anziani fanno ampi gesti con le mani «tantissime». Secondo quel gruppo di persone i raid pistole in pugno avvengono almeno un paio di volte alla settimana e vanno aumentando quando l'inverno lascia spazio alla primavera e poi all'estate. La signora dice pure che tutti sanno riconoscere la provenienza dei delinquenti sulla base dell'arsenale: «Quelli di Santa Lucia hanno solo le pistole, quelli dei Quartieri, invece mostrano pure le mitragliette...».

«Ho i figli che studiano ancora, ma appena avranno concluso li costringerò ad andare via da Napoli», il commerciante della piazza («niente nome che questa è brutta gente») tiene il polso della situazione e prevede una brutta svolta: «Qui fra poco ci scappa il morto, sono sempre più aggressivi, sempre più allucinati dalle sostanze che prendono, sempre in cerca di un nemico da affrontare».

È il primo a sussurrare che, secondo lui, la sparatoria della notte di San Giuseppe è diversa dalle altre: «L'ultima volta che hanno sparato c'è stata paura, c'erano tante persone, eppure nessuno s'è fatto male perché tenevano le pistole puntate verso l'alto. Stavolta invece i fori dei proiettili sono tutti ad altezza uomo, secondo me cercavano di colpire qualcuno che fuggiva perché se avessero voluto semplicemente dare un segnale della loro presenza avrebbero continuato a sparare verso l'alto».

Passa di fianco al gazebo del «Caffè del Professore» dove uno dei vetri è stato mandato in frantumi da un proiettile, scalcia qualche pezzo di cristallo: «Meno male che qui non c'era più nessun cliente. Però i ragazzi del bar c'erano, stavano facendo la chiusura, se uno di loro fosse stato qui fuori a sistemare sedie e tavoli, adesso staremmo piangendo un morto».

L'uomo indica verso l'alto uno dei trespoli con gli occhi elettronici e s'indigna: «Ma a che servono quelle cose lassù? Forse solo a fare le multe perché non mi sembra che siano servite a fermare i delinquenti».
Si chiama Ciro, non vuol dire il cognome e spiega che «per motivi di lavoro» frequenta assiduamente piazza Trieste e Trento. Ha un atteggiamento sospettoso, a tratti aggressivo: scusi signor Ciro ma lei esattamente che mestiere fa? «Ma a voi che ve ne importa? Volete sapere che succede qua? E io ve lo posso dire», passa al «voi» per dare forza alla sua presa di posizione. Va bene, signor Ciro, allora ci dica cosa succede: «Qua una volta nessuno si permetteva di fare certe cose. Quando c'erano i boss veri, il territorio non si conquistava mostrando le pistole, c'erano altri modi...». Fermarlo è un'urgenza: l'apologia dell'antica camorra è inaccettabile. «Ma se volete sapere le cose io vi devo dire come stavano prima e come stanno oggi. Io mica dico che quelli erano buoni? Dico solo che non facevano certe cose. Il fatto è che questi giovani di adesso si fanno, si drogano: pensano di essere più forti e invece fanno solo guai. Se non li fermano finisce che uccidono qualcuno, fidatevi di me che certe cose le capisco».

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