Quando tutta Napoli rise
del povero Alfonso II
e del suo mezzo cannone

Quando tutta Napoli rise del povero Alfonso II e del suo mezzo cannone
di Vittorio Del Tufo
Domenica 31 Marzo 2019, 20:00
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«Varie strade conducono dall'alto al quartiere di Porto: sono ripidissime, strette, malselciate. La via di Mezzocannone è popolata tutta di tintori: in fondo a ogni bottega bruna, arde un fuoco vivo sotto una grossa caldaia nera, dove gli uomini seminudi agitano una miscela fumante; sulla porta si asciugano dei cenci rossi e violetti; sulle selci disgiunte, cola sempre una feccia di tintura multicolore»
(Matilde Serao, Il ventre di Napoli)
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Anche donna Matilde, come i personaggi dei suoi racconti, si fermava spesso a piazzetta di Porto, sbucava davanti all'antico Sedile, gettava uno sguardo distratto sul bassorilievo di Orione attaccato alla muraglia - quell'uomo barbuto, con il coltello in mano, che i napoletani chiamavano Pesce Nicola, o Colapesce - e finalmente risaliva per il budello nero, storto, ripido e sdrucciolevole di Mezzocannone. Ai tempi della Serao, e prima che il piccone del Risanamento stravolgesse il volto dell'antica Neapolis, la strada oggi sempre affollata di studenti - il centro della vita universitaria napoletana - era uno dei vicoli più stretti e lugubri della città. Salvatore Di Giacomo definì il budello di Mezzocannone «un lurido intestino napoletano». Più o meno all'incrocio con via Sedile di Porto, di fronte a un faro che in seguito su soppresso dai Gesuiti, sorgeva una fontana di piperno: era addossata al muro e veniva utilizzata per l'abbeveramento dei cavalli. L'acqua scorreva da una specie di bocca di cannone, sormontata da una statua raffigurante un goffo personaggio, rozzo e panciuto, che i napoletani hanno sempre identificato con Alfonso II d'Aragona, che fu duca di Calabria e poi re di Napoli per circa un anno, dal 25 gennaio 1494 al 23 gennaio 1495.

Povero Alfonso, preso in giro dall'intera città per il suo «mezzo cannone». La chiamarono così, la fontana che abbeverava i cavalli: la fontana del mezzo cannone. L'opera, infatti, aveva un difetto di fabbrica. La cannella di bronzo da cui sgorgava l'acqua («il cannone») era più corta di quanto previsto dal progetto iniziale. Così i napoletani cominciarono a chiamare la fontana «mezzo cannone» e Alfonso II 'o rre e miezz cannone. Con il Risanamento il profilo di via Mezzocannone cambiò radicalmente. Prima dell'ampliamento la strada finiva all'altezza di via Sedile di Porto, contro una sorta di fondaco, mai registrato al catasto, che serviva a coprire il fosso sotterraneo usato impropriamente dai bottegai per raccogliere le acque reflue provenienti dalle loro botteghe. Ma nel fosso finiva anche l'acqua che sgorgava da quella strana fontana. Con il termine «mezzo cannone» veniva indicata la misura del beccuccio usato come cannuccia per versare acqua nella bacinella sottostante. Ma si finì con l'usare lo stesso termine per irridere il goffo sovrano aragonese, in precario equilibrio sopra la fontana. Alfonso II fuggì da Napoli quando Carlo VIII di Francia invase l'Italia. Come scrive Camillo Albanese nel suo Storie della città di Napoli, «avrebbe avuto bisogno della solidarietà del popolo e dell'amicizia di alleati potenti, ma era privo dell'una e dell'altra». Così preferì abdicare in favore del figlio Ferrandino, chiese perdono a Dio e si chiuse in un cenobio.

Dopo l'ampliamento della strada, della fontana si persero le tracce. Un frammento di circa 30 centimetri fu ritrovato negli anni 70, grazie allo storico dell'architettura Giancarlo Alisio, nella galleria antiquaria Navarra di piazza dei Martiri. Fu donato alla soprintendenza e da allora è abbandonato nei depositi.
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Per Matilde Serao tutte le fontane di Napoli sono lacrime. Quella di Monteoliveto «è formata dalle lagrime di una pia monachella che pianse senza fine sulla Passione di Gesù»; quella dei Serpi rappresenta «le lagrime di Belloccia, una serva fedele innamorata del suo signore»; quella degli Specchi è fatta «delle lagrime di Corbussone, cuoco di palazzo e folle di amore per la regina cui cucinava gli intingoli»; quella del Leone simboleggia il pianto di un principe napoletano, «cui unico e buon amico era rimasto un leone che gli morì miseramente»; e le gocce che sgorgano dalla fontana di via Medina non sono altro che sono le lagrime di Nettuno, «innamorato di una bella statua cui non arrivò a dar vita» (Leggende napoletane).
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Frammenti di storia ormai scomparsi, o trasfigurati nella letteratura. E nel mito. All'angolo delle vecchie strettole di Porto, una delle stradine secondarie che si diramano da via Mezzocannone per poi perdersi nel dedalo del centro antico, è ancora visibile il bassorilievo raffigurante l'uomo pesce. Nicola, o Colapesce, secondo la leggenda era nato in riva al mare di Santa Lucia, e al mare trascorreva così tanto del suo tempo che la madre, indispettita, gli lanciò un giorno una maledizione: «Potessi addiventà 'nu pesce!». Da quel giorno, il ragazzo visse davvero come un pesce, capace di restare talmente a lungo sott'acqua da alimentare la leggenda che fosse divenuto - a sua volta - una creatura marina. Il ragazzo con le branchie e la pelle squamosa si serviva di un lungo pugnale per tagliare il ventre dei pesci; e a bordo dei pesci poi viaggiava, esploratore di abissi e misteri.
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L'antica strada di Fontanola, come era chiamata l'attuale via Mezzocannone, in epoca greca era un profondo canalone fortificato su entrambi i lati. Tracce dell'antica mutazione sono ancora visibili nell'atrio del cinema Astra e nel cortile centrale dell'Universita Federico II. La spiaggia arrivava fin lì, dove oggi c'è l'asfalto del corso Umberto, e i resti che possiamo osservare all'interno dell'università sono probabilmente ciò che resta del tratto di mura difensivo della città nel suo versante marittimo. In tempi ancora più remoti via Mezzocannone si trovava a ridosso del quartiere degli alessandrini, i quali avevano anche un proprio cardo che riportava il loro nome: il vicus Alexandrinus (corrispondente all'attuale via Nilo, mentre secondo alcuni corrisponde proprio a via Mezzocannone). I mercanti, che erano dei tipi piuttosto nostalgici, eressero un monumento al dio Nilo in memoria della loro patria lontana, e a Napoli portarono i loro riti e i loro culti egiziaci, diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo. Nacque così la statua del Nilo, uno dei monumenti più famosi (e misteriosi) del centro antico. E la regione dove oggi si trova la statua del Nilo fu detta Nilense, dal nome del fiume benefico della madre patria. Memorie di un mondo perduto.
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