Street art nei vicoli di Napoli,
​la scommessa sporcata

Street art nei vicoli di Napoli, la scommessa sporcata
di Antonio Menna
Giovedì 4 Aprile 2019, 09:54
5 Minuti di Lettura
C'è una maniera lieve e gentile anche di essere murales, e la differenza si spalma sui luoghi. Basta entrare in vico Buongiorno per capire. Siamo nel cuore dei Vergini, che poi sarebbe la Sanità, che poi sarebbero i Miracoli, e più su la Stella. Insomma, difficile anche da definire questa batteria di strade che parte da via Foria e si infila nella pancia di Capodimonte. All'improvviso lungo il mercatino e la fila di bancarelle della frutta compare questo vicolo che è tutto dipinto. Ma con un tratto così lieve che la gente si ferma rapita. Un volto di donna, una mano maschile che accarezza il mento. «Guardate che bellezza - dice Nicola, mentre scarica cassette di carciofi per allestire il suo banco - io mi incanto tutti i giorni». La parete è bassa, il volto è luminoso e da quando è stato dipinto, due anni fa, dall'artista Facte, sembra aver ingentilito i balconcini. Non mancano i panni stesi, i motorini parcheggiati, un motore arrugginito del condizionatore. Ma questa Benedizione di Dio - così si chiama il murales - costringe tutti a pulire il proprio pezzo. «Prima ci stava una macchia di calce da una parte - dice un ragazzo che serve i caffè nel bar che incrocia la strada principale - e una di muffa dall'altra parte. Adesso che ci stanno questi colori, abbiamo comprato le sedie nuove del bar». Che sono sempre di plastica, e sono sempre bianche, e non fanno eccezione al respiro popolare del quartiere. Ma sanno di nuovo, ed è accaduto per rigenerazione positiva. Perché se può succedere che un murales non faccia primavera può succedere pure il contrario: che una parete dipinta, illumini tutte le altre.

 
IL PICCOLO MIRACOLO
Alla Sanità, questo piccolo miracolo mite sta accadendo. È un contagio minimo, della quotidianità. Che sparge voglia di fare, bisogno di immaginare; che spinge turisti con macchine fotografiche e sempre qualcosa da mangiare in mano. «E quando venivano fino a qua? - dice Salvatore, un panettiere che ha allestito una vetrina sulla strada dove mostra merende composte al momento - Abbiamo gente perché ci sta qualcosa da vedere». E il qualcosa sono i volti femminili di Facte nel vico Buongiorno, ma non solo. Alla Sanità c'è il murales diffuso, il colore che si allarga e spunta dagli angoli. Non uno, tanti, e bisogna cercarseli. Come accade nel Palazzo Sanfelice. Dal cortile, sono inconfondibili le arcate ad alveare: tenute meno bene di quelle gemelle e attigue dello Spagnuolo, ma comunque perfette nella loro geometria. E nelle scale, tra stendini bianchi di panni stesi, portali anneriti, neon fulminati e appesi, spunta un uomo in catene, bellissimo dipinto sulla parete scura fatto una notte da Zilda, uno dei più famosi esponenti della street art, un artista francese innamorato di Napoli. «Teniamo il portone chiuso la sera - ricorda il portiere, un uomo paziente dai capelli bianchi - ma qualcuno deve averlo lasciato aperto perché la mattina sono arrivato e ho trovato questo disegno».

Un disegno che compare oggi in tutte le guide. Il vento pesa quanto le catene, lo ha intitolato Zilda: un uomo nudo, testa bassa, spalle chine, polsi in catene e sullo sfondo un Vesuvio scuro.
«Ogni giorno vengono almeno 40 persone a vederlo - dice il portiere - noi non diciamo di no a nessuno ma nelle scale è pericoloso salire, se si fa male qualcuno poi come si fa?. Un palazzo museo dove abitano vecchie signore di popolo, con i capelli legati, che si fanno fotografare sorridendo dai turisti, a cui non pare vero di prendere tutto il pacchetto con un solo scatto. «Ritorni economici? - sorride un condomino - Ogni tanto girano un film. È venuto Martone. Poi le fiction, non ce ne perdiamo nessuna. Ci facciamo qualche lavoro condominiale».

I VOLTI
Gigante ma soffice è anche la presenza sfumata dei due murales della piazza che si apre davanti alla Basilica del monacone. Uno di fronte all'altro, si rimbalzano la luce e si appoggiano sulle pareti giocando. Il primo si chiama Luce, è dello spagnolo Tono Cruz, è stato fatto con i bambini dell'associazione Fazzoletto di perle. È un tondo bianco con i volti dei ragazzini. Sorridono tutti. Al centro esatto c'è un balcone con un motore del condizionatore. Sotto il pub El Pocho, con un raduno tradizionale di motorini. Accanto la pizzeria Oliva, a fare da scudiero al portone. La facciata del palazzo gronda umidità. Al primo piano abitano due famiglie di immigrati, che tengono le imposte ben chiuse. Sul terrazzo svettano vasi pieni di fiori. Di fronte, un altro murales: due innamorati in un abbraccio suadente sulla parete della basilica, dipinti dall'argentino Francisco Bosoletti. Sono volti del posto, anche questi. Due ragazzi del quartiere che hanno battuto insieme una malattia e altre avversità. Sarà questo fondersi coi luoghi, con le storie personali, ma tutto intorno a queste immagini sembra gemmare la cura, come se i disegni in qualche modo continuassero nella vita reale. «Non sono solo i turisti che vengono a fotografare e poi si fermano e comprano - dice Michele, un barista poco distante dalla chiesa - è una sensazione di pulizia». Che però non risparmia al murales il destino di avere una cornice di bidoni della spazzatura, di motorini addossati l'uno all'altro. «Io a questi murales non ci credo - spiega scettico Giovanni Lucarello, che ci tiene a dire di avere appena compiuto 80 anni - qua ci vogliono i servizi. La polizia municipale dove sta? Questi poveri turisti se ne vanno coi capelli dritti in testa, e ci stanno pure i malintenzionati che girano sui motorini».

LA SPERANZA NASCOSTA
Niente miracoli, insomma, ma c'è un itinerario, che dalla Basilica spinge verso le Fontanelle. Lungo la strada, il murales mite della Sanità diventa addirittura nascosto. Sempre Bosoletti, vicino al centro La Tenda, ha dipinto un volto di donna su una parete, che è ritratto in negativo e si vede solo con un filtro. A occhio nudo è poco più di una macchia scura. Ma i turisti lo sanno: si aggregano in gruppi, si incamminano nei vicoli, lo trovano come in una caccia al tesoro e fanno uno sforzo di individuazione. È la Speranza nascosta, che con lo sguardo giusto viene fuori. Come viene fuori dal suo basso una signora di mezza età che comincia a spazzare la strada principale, come se lo facesse in casa sua. Poi si scorge nel cortiletto un tavolino con merendine e bevande. «Le vendo a chi passa - racconta - guadagno qualcosa, la gente si ferma. Ma dobbiamo tenere pulito, altrimenti non vengono più». E ci si spinge fin qui per il cimitero delle Fontanelle ma anche per ammirare il murales coloratissimo di Alejandro Mono Gonzalez, un artista e scenografo cileno che sulla chiesa, sul campanile e sull'edificio vicino, come fosse una tavola della vita, ha rappresentato con tutti i colori del mondo, una ragnatela dal sapore sudamericano che consente al quartiere di specchiarsi nel dipinto e ritrovare un po' stessa, un po' il proprio passato, un po' il sentimento del futuro.
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