Liguoro: «La mia Torre del Greco
nobile decaduta senza più identità»

Liguoro: «La mia Torre del Greco nobile decaduta senza più identità»
di Antonio Menna
Venerdì 5 Aprile 2019, 09:51
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«Nominando Torre del Greco mi vengono in mente due cose: il mare, ovviamente, e il corallo». La cortesia nella voce, il garbo nei modi e la precisione dei ricordi fanno di Mimmo Liguoro un gentiluomo inglese dall'accento napoletano. Proprio per questo le sue origini torresi riportano subito alla memoria quel profilo di provincia nobile che è proprio delle cittadine del mare vesuviano, come per altri versi Ercolano, Portici, e più in là Castellammare. Luoghi che hanno una storia, una identità, un tratto proprio così forte da non temere Napoli. Torre del Greco appare ancora stordita dall'onda di arresti dell'altro giorno tra consiglieri comunali, dipendenti, imprenditori finiti sotto inchiesta, e quelle ombre sullo scambio di voti che si allungano su tutta la vita civile. Eppure c'è chi come Liguoro, nato e cresciuto proprio qui, ancora si commuove a rievocare orgogliosamente le sue origini. Romano ormai di fatto, tifosissimo del Napoli calcio, grande cultore della canzone napoletana (a cui ha dedicato molti libri), autore a quattro mani con Pino Daniele di un volume sulle sue canzoni, Liguoro 78 anni è lo storico mezzobusto del telegiornale Rai. Per tredici anni (dal 1982 al 1995) conduttore del Tg2 e per altri undici (dal 1995 al 2006) al Tg3. Ventiquattro anni di notizie davanti a una telecamera, con la cravatta sempre a posto e la voce puntuale.

Ha letto delle ultime vicende giudiziarie che riguardano la sua città di origine? Che ne pensa?
«Non posso esprimere una opinione precisa, non conosco bene i fatti. Ma certamente Torre del Greco non è più quella di un tempo. I cambiamenti sono stati netti su tutto il territorio, alcuni anche positivi. Si va avanti, per fortuna. Altri, invece, ci hanno fatto perdere terreno».

Che ricordi la legano a Torre del Greco?
«Tantissimi. Ci sono nato e ci ho vissuto fino a quando, dopo la laurea in Giurisprudenza all'Università di Napoli, sostenuto nella scelta da alcuni amici che se n'erano già andati, ho pensato anche io di fare la valigia. In verità io sono metà torrese, per parte di padre, e metà vomerese, per parte di madre. Gli anni dell'Università li ho passati in modo significativo nella casa dei nonni materni, al Vomero. Ma a Torre sono legato per tutto il ramo paterno. E mi vengono in mente soprattutto due cose: il mare, questa presenza incombente, e poi il corallo rosso. Mio nonno lavorava il corallo. E tutti i suoi figli lo stesso».

Anche suo padre?
«Certo, anche se poi lui e i suoi fratelli, come spesso succede dalle nostre parti, si divisero e ognuno andò per conto suo. Ma il corallo rosso è stato sempre presente in casa nostra. Del resto era amato in tutto il mondo. Ci conoscevano ovunque come incisori e lavoratori del corallo».

Un'arte, diventata economia, mentre appare in crisi anche il settore dei cantieri navali, degli armatori, altro elemento che dava occupazione. Ed è un vero peccato. Perdiamo tutte le nostre grandi risorse.
«Perché si fa così fatica a mettere a frutto i talenti sui nostri territori? La sensazione è che siamo sempre un poco a metà. Anche Torre del Greco mi pare una città a metà. Grandi origini, grande tradizione. Poi, però, una nobiltà decaduta. Non solo nelle grandi cose, anche in quelle piccole, di vita quotidiana. La politica ma anche la vita di tutti i giorni».

 

Com'era la politica quando lei viveva a Torre del Greco? «Avevamo i partiti tradizionali, che si confrontavano, si contrastavano. Figure anche importanti. Non amo fare nomi per non fare torto a nessuno. Ma c'erano profili significativi e si viveva la battaglia politica sulle idee».

E poi la presenza di Enrico De Nicola.
«Il presidente, certo. Un punto di riferimento. Oggi c'è una via intitolata a lui. C'è la villa. Erano altri tempi, senza dubbio. Non solo anagraficamente. Direi anche culturalmente».

Lei ci torna ancora?
«Tutti gli anni, per le feste. Ho una sorella che vive a Torre del Greco. Io e mia moglie siamo legatissimi alla sua famiglia e ci torno sempre. Poi da Roma è facile. Non frequento molto la cittadina, restiamo in famiglia. Ma ho avuto modo in tutti questi anni di assistere alla trasformazione. Mi sembra che tutte le potenzialità non si siano espresse. Si vedono ancora, si nota la personalità del luogo. Ma sembra perduta l'identità».

Città leopardiana, città delle ville del Miglio d'oro, città archeologica, città vesuviana e città di mare. Altrove ne avrebbero fatto una capitale.
«Appunto, ma non è la sola. A Torre o grieco, si diceva una volta ed è inserita in un percorso culturale ideale con altre città limitrofe che però non si esprime. Ha anche una sonorità dialettale bellissima e particolare, che io tra l'altro parlo bene, facendo ancora divertire i miei amici romani. Certo, non è come l'inflessione di Torre Annunziata, ancora più marcata, ma anche quella di Torre del Greco ha una sua musicalità felice».

Lei è andato via a un certo punto. Consiglierebbe la stessa cosa a un ragazzo oggi?
«Ognuno ha il suo percorso, difficile dare consigli. Però non mi pare che ci siano grandi alternative».
 
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