Cafiero de Raho: «Lotta alle mafie, con la crisi l’Italia ha perso gli anticorpi»

Cafiero de Raho: «Lotta alle mafie, con la crisi l’Italia ha perso gli anticorpi»
di Gigi Di Fiore
Sabato 13 Aprile 2019, 07:12 - Ultimo agg. 09:30
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Mafie che sparano di meno, mafie mimetizzate, mafie nascoste su tutto il territorio nazionale. L’osservatorio di Federico Cafiero de Raho, procuratore nazionale antimafia, è privilegiato nell’analisi di questa realtà.

Procuratore Cafiero de Raho, perché le mafie sparano di meno?
«Gli episodi violenti nascono quando esplodono contrasti tra gruppi per la supremazia sul territorio o la gestione di affari. Sono espressione di una fase patologica negli equilibri criminali».

La diminuzione di episodi di sangue, quindi, significa che le mafie gestiscono i loro affari senza frizioni?
«In un certo senso, significa che ci troviamo di fronte a strutture mafiose di grande forza economica e di capacità nel gestire i diversi traffici illeciti, primo fra tutti quello degli stupefacenti».

Partiamo da Napoli. Le stese sono gesti di piccoli gruppi di giovani, o nascondono dell’altro?
«Ci si è soffermati molto sulle stese, come episodi di gruppi camorristici deboli. Il territorio cittadino napoletano è sempre occupato da clan storici come i Mazzarella o i gruppi di Secondigliano. Lo stesso avviene in provincia con altre famiglie. I veri affari sono gestiti da questi clan storici».

Gli omicidi a Napoli sono espressioni di nuovi clan che si affermano su altri?
«Spesso sono manifestazioni di frizioni episodiche. Le repressioni giudiziarie sono efficaci e qualche gruppo, come la famosa paranza dei bambini, ha avuto vita breve rispetto ai clan storici che hanno continuato a gestire i loro sostanziosi affari mentre gli altri si contendevano piccole aree di spaccio di droga».

Nella provincia di Caserta, un solo omicidio in dieci anni. I Casalesi sono scomparsi?
«Difficile che un sistema economico che, sull’illegalità, aveva monopolizzato un’intera provincia, gestendo e infiltrandosi nei grandi appalti, sia scomparso. La parte militare di un clan si sostituisce con facilità, di giovani disperati ce ne sono ancora tanti. È la struttura economica, alimentata dall’attività di insospettabili, è invece il nocciolo duro nella persistenza dei clan. E su questo, ci sono ancora inchieste in corso».
 


Dalla Campania al resto dell’Italia. Le mafie sono assenti in qualche regione?
«Non esiste più, purtroppo, una zona d’Italia dove le mafie siano completamente assenti. La ‘ndrangheta, Cosa nostra, i gruppi camorristici hanno esportato modelli colonizzando nel tempo molte regioni. Il primo passo è stata sempre l’infiltrazione in attività economiche riciclando denaro. Poi, si sono consolidati interi gruppi con metodi mafiosi».

In che modo?
«Oltre al riciclaggio di denaro sporco, sono stati offerti servizi a costi minori, manodopera, false fatture diventate lo strumento per legare alle mafie decine di soggetti economici su più territori. Questa è l’infiltrazione più pericolosa, perché nasce dal calcolo di convenienza che altera il mercato. È questa la mafia silenziosa, con cui molti fanno affari per interessi economici».

Perché tra le prime attività di riciclaggio c’è la ristorazione?
«Perché rappresenta un modo di inserirsi sul territorio. Con bar e ristoranti si intrecciano relazioni, si stringono rapporti sociali. Alla fine, diventano una facciata di credibilità che può servire a favorire affari nascosti».

Eppure, si sentono pochi omicidi mafiosi rispetto al passato. Come mai?
«I morti creano allarme sociale, spingono a reazioni nell’informazione e nella politica. Ma i morti non significano maggiore presenza mafiosa. Il contrario. La mafia è forte quando non ammazza. Gli agguati sono semplici spie di qualche frizione, come nel caso del tentato omicidio di queste ore a Milano che dimostra come il capoluogo lombardo sia centro di spaccio internazionale di droga controllato da gruppi mafiosi».

Ci sono state, negli ultimi mesi, scoperte di insospettabili presenze mafiose?
«In provincia di Venezia, si è scoperto che da 20 anni erano presenti gruppi di Casalesi che ottenevano appalti e lavoravano con la pubblica amministrazione. Ma diverse presenze mafiose sono emerse in indagini a Milano, Torino, Genova, Aosta. Sono venute fuori attività ‘ndranghetiste di non poco rilievo».

È possibile fare oggi una mappa di mafie nascoste?
«Solo indagini aggiornate momento per momento possono farla. Di sicuro, si può affermare che le mafie nascoste sono presenti un po’ ovunque».

C’è meno attenzione sulle mafie rispetto al passato?
«Sì, non si parla molto di mafie. L’informazione scatta quando si verificano fatti di sangue che creano allarme, ma sono le spie e gli anticorpi nella società che mancano».

Cosa intende dire?
«C’è poca voglia di insospettirsi, e penso al mondo dell’economia, quando ci si trova di fronte a qualcuno con enorme e improvvisa disponibilità finanziaria. Prevale l’interesse a fare affari e meno a verificare con chi si fanno. Vedo, su questo, una situazione di grande rischio per il nostro sistema economico».

Occorre più rigore nel controllo dei flussi finanziari?
«Le norme sono sempre più rigorose sulle transazioni, specie nel sistema bancario.

Ma il problema, in questa fase di difficoltà economica, resta l’affievolirsi degli anticorpi sociali».

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