Il giro di vite sul mobbing: dalle multe fino al carcere Le proposte

Il giro di vite sul mobbing: dalle multe fino al carcere Le proposte
Il giro di vite sul mobbing: dalle multe fino al carcere Le proposte
di Emilio Pucci
Sabato 13 Aprile 2019, 07:46 - Ultimo agg. 11:57
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Non è prevista una disciplina organica a tutela del lavoratore mobbizzato e ora M5s torna all’attacco – nella scorsa legislatura ci aveva provato la senatrice Taverna - per punire «chiunque, nel luogo o nell’ambito di lavoro, si rende responsabile di atti, omissioni o comportamenti di vessazione, discriminazione, violenza morale o persecuzione psicologica» che provochino «un degrado delle condizioni di lavoro tale da compromettere la salute fisica o psichica della lavoratrice o del lavoratore». La proposta di legge depositata a Montecitorio avrà comunque un iter non semplice, dal momento che non tutte le forze politiche accettano l’approccio giustizialista dei pentastellati. Il testo prevede la reclusione da sei mesi a quattro anni e multe da 30.000 a 100.000 euro. Pena aumentata di un terzo se gli atti sono commessi dal “superiore gerarchico”, della metà se avvengono nei confronti di una donna in stato di gravidanza o nel corso dei primi quattro anni di vita del figlio.





Il pentastellato Davide Galantino si definisce il primo militare graduato eletto in Parlamento in epoca repubblicana. «Io dopo il Duce…- scherza - tanti anni fa fui costretto a pulire con lo spazzolino da denti…». Ma l’idea di depositare, insieme al suo collega Rossini, una proposta di legge gli è venuta quando è stato tempestato di messaggi intimidatori dopo essere intervenuto nell’Aula della Camera per ricordare Casamassima, «il carabiniere, che ha avuto il coraggio di rivelare l’illecito pestaggio di Stefano Cucchi e poi punito dopo la sua deposizione». E ora denuncia «l’ inadeguatezza nella repressione dei fenomeni di mobbing».
Non basta la legge del 14 luglio 2017 con la norma sul whitleblowing (autrice l’attuale capogruppo in Commissione Giustizia, Businarolo). La Pdl introduce l’articolo 610 bis del codice penale perche’ ora «la mancata previsione di una precisa fattispecie incriminatrice fa apparire la via della sanzione punitiva come non preferibile».

Intanto si definisce quando e in che modo avviene «la molestia morale e la violenza psicologica». Ovvero attraverso la rimozione da incarichi, l’esclusione dalla comunicazione e dall’informazione aziendale, la svalutazione sistematica dei risultati («fino a un vero e proprio sabotaggio del lavoro»), «il sovraccarico di lavoro o l’attribuzione di compiti impossibili o inutili», l’attribuzione di «compiti inadeguati rispetto alla qualifica e preparazione professionale o alle condizioni fisiche e di salute», l’esercizio da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di «azioni sanzionatorie», quali «reiterate visite fiscali o di idoneità, contestazioni o trasferimenti in sedi lontane, rifiuto di permessi, di ferie o di trasferimenti», tutte finalizzate «alla estromissione del soggetto dal posto di lavoro».

Ed ancora: gli atti persecutori e di grave maltrattamento, «la squalificazione dell’immagine» personale e professionale e le «offese alla dignità», attuate da superiori, da pari grado o da subordinati ovvero dal datore di lavoro».

Ed è proprio il datore di lavoro ad essere chiamato maggiormente in causa dai 5 Stelle: in caso di «denunce di molestie morali e violenze psicologiche» deve accertare tempestivamente i comportamenti e «prendere provvedimenti per il loro superamento», disciplinando «le azioni di tutela giudiziaria» e stabilendo che «il risarcimento del danno dovuto al lavoratore comprenda in ogni caso anche una somma a titolo di indennizzo del danno biologico».

Qualora il lavoratore mobbizzato ne faccia richiesta il giudice può’ disporre che del provvedimento di condanna o di assoluzione venga data informazione ai dipendenti, mediante una lettera del datore di lavoro. Se poi il colpevole – o complice - è proprio il datore di lavoro, il giudice puo’ disporre «la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani».

Si punta a contrastare soprattutto il «mobbing orizzontale», dove «il datore di lavoro evita di intervenire per porre fine a comportamenti mobbizzanti». Si prevede anche che ogni regione istituisca «un centro regionale per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo». Si ricorda infine che la Corte di Cassazione ha riconosciuto una forma attenuata di mobbing, denominata “straining” che porta ad «una situazione di stress forzato sul posto di lavoro».
 

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