Marco D'Amore e l'allarme Napoli: «Bimbi sfiorati dai killer, ormai i clan non si danno limiti»

Marco D'Amore e l'allarme Napoli: «Bimbi sfiorati dai killer, ormai i clan non si danno limiti»
di Adolfo Pappalardo
Domenica 14 Aprile 2019, 12:54 - Ultimo agg. 15 Aprile, 07:04
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«Abbiamo il dovere, tutti, di raccontare ai ragazzi che ci sono altre vite possibili. Altrimenti, in molti casi, un certo destino è purtroppo già segnato», dice Marco D'Amore, regista delle ultime due puntate andate in onda di Gomorra e prim'ancora talentuoso attore che impersona Ciro l'Immortale. E proprio percorrendo, in questi anni, quartieri malfamati per girare «ti accorgi come in molte periferie è difficile proprio immaginarti un futuro».

Il presidente Mattarella, a Napoli, ringrazia l'associazionismo per il lavoro positivo che sta facendo alla Sanità. Cosa ne pensa?
«Oltre al valore istituzionale delle sue parole, c'è quello emotivo: il presidente ha una storia personale, vedi l'omicidio del fratello Piersanti, che non mette in dubbio le sue parole e, anzi, ne innalza il suo spessore. Esaltando il ruolo delle associazioni il presidente immagina come una comunità dal basso prova a cambiare le cose, come è accaduto per il quartiere della Sanità. Giusto, giustissimo ma io credo che le istituzioni, per prima, debbano intervenire sul territorio».
 


A quali istituzioni si riferisce?
«Non sono certo dalla parte di chi grida per invocare l'esercito a presidiare tutte le strade di alcuni quartieri. Credo invece come le istituzioni, tutte, debbano facilitare una rivoluzione culturale in questa città. Perché sono convinto che se mostri la bellezza, se alla gente gli fai scoprire che ci sono altri mondi possibili allora qualcosa può cambiare».

Cosa intende?
«Le istituzioni non devono solo amministrare la cosa pubblica ma anche il patrimonio culturale di questa città. Renderlo fruibile per raccontare ai napoletani la bellezza di alcuni luoghi».

Mattarella è venuto a Napoli dopo l'omicidio a San Giovanni davanti ad una scuola. Cosa pensa del fatto di cronaca? Ne è rimasto colpito?
«Rimangono nei nostri occhi le immagini di quell'omicidio. Un racconto tragico di un bambino scappato dalle pallottole ed il suo zaino lasciato a terra. Immagini terribili. E se i killer arrivano a sfiorare i bambini, vuol dire che non ci sono più limiti, che sono saltati anche tutti i codici dei clan. E questo non può che spaventare».

Frame reali difficili anche da immaginare per una serie come Gomorra?
«Noi raccogliamo le notizie dalla realtà, siamo solo dei sarti che ricuciono episodi accaduti. Ma a volte, come in questo caso, la realtà è capace di superare la finzione».

Oltre all'omicidio di San Giovanni cosa la spaventa da napoletano?
«Ho passato gli ultimi 7 anni a frequentare, per girare Gomorra, tutti i quartieri più dimenticati e degradati di questa città. E quello che mi ha colpito di più è riscontare nei più giovani la mancanza di sogni, che non gli venga mai nemmeno raccontata la varietà di altri mondi. Napoli è una città convinta che venga qualcun altro a sollevarla ma dobbiamo farlo noi. Cominciando dai ragazzi. Al Nord o all'estero un adolescente immagina vite diverse, qui un ragazzo di alcuni quartieri deve sapere che può studiare, andare all'estero e poi magari tornare. A Napoli, e questo mi spaventa, molti ragazzi immaginano solamente una vita legata solo al proprio quartiere, a un lavoretto che magari ti porterà vicino a certi ambienti. E così non cambia mai nulla».

La vedo pessimista.
«Affatto ma dobbiamo essere realisti: non bastano le forze dell'associazionismo che si occupano di risolvere le cose in uno spazio e un tempo breve. Serve uno slancio collettivo».
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