La favola di Umberto, dal carcere al pianobar: «Ecco come ho detto no per sempre alla criminalità»

Un momento dell'intervista
Un momento dell'intervista
di Antonio Folle
Domenica 14 Aprile 2019, 16:42 - Ultimo agg. 17:59
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Mostra con orgoglio una penna stilografica, donatagli da quelle stesse persone che lo hanno aiutato a risollevarsi dopo circa 12 anni di carcere continuativi passati nel penitenziario di Secondigliano. La storia di Umberto Brusciano, 52 enne nato e cresciuto nel quartiere a nord della Napoli turistica, si può riassumere tutta in quella penna che l'uomo esibisce come un trofeo.
 

La cultura come mezzo di redenzione per una esistenza sfortunata. A 14 anni la prima detenzione con l'accusa di aver rubato un'auto. Poi i primi furti e le prime rapine insieme a un gruppo di amici - una baby gang ante litteram - che, come ha raccontato lo stesso Umberto, ormai non vede più da anni perchè o condannati a lunghe pene detentive o morti durante la faida che ha insanguinato Secondigliano nei primi anni 2000. «Il quartiere non offriva niente a un giovane come me, che avevo avuto una esperienza in carcere - spiega - e così sono precipitato in un brutto giro. Ho spacciato droga e sono stato arrestato molte volte. Poi sono scappato all'estero, tra il Belgio e la Spagna e per alcuni anni mi sono dato alla latitanza. Sono ritornato solo quando mio padre, che stava per morire, espresse il desiderio di rivedermi per l'ultima volta. Sono stato fermato alla frontiera tra Francia e Italia e sono stato immediatamente arrestato».

Il transito in diverse carceri italiane e poi l'arrivo al carcere di Secondigliano, dove Umberto ha scontato 12 anni di carcere continuativi. Pena che, sommata agli arresti degli anni precedenti, lo hanno portato a totalizzare quasi 20 anni di carcere in tutto. Una carcerazione, come spiega l'uomo, che non è stata vissuta "passivamente" ma che è servita a Umberto per ripartire da zero. Corsi di canto, recitazione e regia hanno aiutato Umberto a dare un'altra prospettiva alla sua vita. Una volta uscito dal carcere, infatti, Umberto ha preferito un lavoro umile, umilissimo, piuttosto che ritornare nel giro della criminalità organizzata. «Vendevo fazzolettini ai semafori - spiega - e racimolavo qualche spicciolo con il quale tirare avanti insieme alla mia famiglia. Una volta uscito dal carcere non ho trovato niente intorno a me, solo una bella ragazza che mi voleva sposare e che poi mi ha dato due splendide figlie. Poi ho lavorato come bancarellaro e come spazzino volontario nel quartiere. Ho fatto tutto - prosegue ancora - per non riprecipitare nel mio vecchio mondo. E devo dire grazie anche a mia moglie che mi è stata vicino e che mi ha sostenuto nei tanti momenti di sconforto».

Poi l'era della grande faida di Secondigliano, con i clan che si affrontavano armi in pugno per il predominio del territorio. Una guerra che per Umberto è stata una vera e propria occasione. I commercianti di Secondigliano - i veri angeli custodi, come li chiama lo stesso Umberto - gli chiesero di improvvisare qualche spettacolino canoro all'esterno delle loro attività per attirare la clientela messa in fuga dalla camorra. E da allora quella è l'attività principale di Umberto, di sua moglie e, qualche volta, delle sue stesse figlie. «Non ho mai chiesto un centesimo per questo lavoro - afferma - ma sono stati i commercianti a chiamarmi e a chiedermi di dare un po' di allegria alle loro attività. Oggi tutti mi conoscono come il cantante del quartiere e, quando non posso, anche mia moglie e le mie figlie mi danno una mano. Mi sono lasciato alle spalle una brutta pagina della mia vita e ne ho cominciata una nuova insieme alle persone che amo e per le quali farei qualsiasi cosa».

Quando parla di Valentina e di Melania, le sue due figlie, a Umberto brillano gli occhi: «Hanno sofferto e soffrono tanto a causa mia - racconta - qualche volta sono state vittime di atti di bullismo da qualche giovane ignorante che le accusa di essere figlio di un uomo che fa il "buffone" nel quartiere per vivere. Ma io ho insegnato loro ad essere orgogliose del loro papà che accetta qualsiasi tipo di lavoro per portare a casa qualche soldo onestamente. Oggi tutti mi rispettano e mi vogliono bene - continua - anche perchè io non disdegno nessun tipo di lavoro onesto e sono sempre pronto a rimboccarmi le maniche».

Un grandissimo aiuto, come ha raccontato Umberto, è arrivato dal presidente della VII Municipalità Maurizio Moschetti che di tanto in tanto gli affida qualche commissione per la Municipalità o gli chiede di presenziare come fotografo a qualche manifestazione. «Maurizio è una persona dal cuore generoso - le parole di Umberto - e ha sempre aiutato e sostenuto la mia famiglia. Pur sapendo che non sono un fotografo professionista mi affida qualche piccola commissione e, anche se il lavoro non è perfetto, chiude un occhio. Insieme ai commercianti di Secondigliano è la persona che più mi ha aiutato a venire fuori dal mio brutto passato e a lui deve andare la mia gratitudine eterna». 

Poi i progetti per il futuro: «Io ho 52 anni - spiega ancora Umberto Brusciano - la gran parte della mia vita è passata. So che non riuscirò mai ad avere un lavoro stabile e che dovrò sempre vivere alla giornata. Ma voglio continuare a farlo onestamente e serenamente. La mia speranza - conclude - è di veder realizzati i sogni delle mie figlie e dei tanti figli di questo quartiere abbandonato dove c'è tanta gente poverissima che, però, quel poco che ha lo divide con chi, come me, dimostra di voler riscattare una vita di errori e di vivere onestamente».

Una realtà difficile quella di Secondigliano. Un quartiere dalle tante anime dove la componente "buona" - la stragrande maggioranza - ancora non riesce a scrollarsi di dosso l'ingombrante etichetta di Gomorra. «Anche il mondo dell'associazionismo può far poco - dichiara il presidente del Laboratorio di Riscossa Secondiglianese Vincenzo Strino - perchè le stesse associazioni sono poco seguite e poco sostenute dalle istituzioni. Mancano gli spazi, mancano le attrezzature e mancano i fondi. Le storie di riscatto come quelle di Umberto - prosegue Strino - sono ancora poche, ma possono e devono rappresentare un segnale di speranza per l'intero quartiere».
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