Sandokan, frasi in codice del boss in carcere: «Voglio tute del Napoli»

Sandokan, frasi in codice del boss in carcere: «Voglio tute del Napoli»
di Leandro Del Gaudio
Sabato 20 Aprile 2019, 23:00 - Ultimo agg. 21 Aprile, 09:00
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Vuole «due tute originali del Napoli», le vuole dall’amico di infanzia e non solo in segno di un antico legame: le vuole, quelle due tute del Napoli, perché se lui sta là dentro (in cella) ci sta anche per chi oggi è chiamato a ricambiare. Parola di Francesco «Sandokan» Schiavone, il capo dei capi, il boss dei casalesi, secondo quanto si legge in un’intercettazione che viene depositata agli atti dell’inchiesta sulla Rete ferroviaria italiana, a proposito di appalti in odore di camorra.
 
Un’intercettazione che riveste un certo peso, a leggere le conclusioni dei carabinieri, perché conferma il rapporto tra il boss «Sandokan» Schiavone e il suo amico d’infanzia, quel Nicola Schiavone classe 1954, oggi accusato di aver veicolato appalti grazie a solide entrature in Rfi, ma anche di essere a capo di una «rete fatta di manager di Stato, di alti prelati, di contatti con il Ministero dei Trasporti».

Ma andiamo con ordine a partire dalla storia delle tute del Napoli e dalla presunta richiesta di aiuto avanzata da Francesco Schiavone al presunto compare Nicola Schiavone. È il 5 marzo del 2016, «Sandokan» (da tempo in isolamento al 41 bis) è a colloquio con la figlia e - tra gesti delle dita portate alla bocca, strizzate d’occhio, linguaggio criptico - le ripete cosa deve andare a dire a «Zio Nicola». In sintesi: «Devi dire: “...ha detto papà, vuole due cose di... (mima il numero di tre toccando il vetro divisorio), perché tu mi sei zio e mi devi aiutare (Schiavone fa l’occhiolino alla figlia)».

E a questo punto il boss ricorre a una metafora agricola, per spiegare che tipo di rapporto c’era - almeno tanti anni fa - tra i suoi interessi e quelli di «zio Nicola». Dunque, sentiamo che dice il boss alla figlia: «Io gli ho arato le terre quando facevo là, ho fatto tante di quelle cose, voglio due tute del Napoli... e che si interessasse ogni mese pure, per tutti quanti un poco noi, perché mio padre è stato per te non come uno zio ma come un fratello... e sta la dentro pure per te...». 

Per gli inquirenti non ci sono dubbi. Sono i carabinieri del comando provinciale di Caserta a ribadire che «zio Nicola» è sicuramente Nicola Schiavone classe 1954, quello che ha battezzato il figlio primogenito di Francesco Schiavone (Nicola, oggi collaboratore di giustizia), finito oggi al centro di un’inchiesta su una decina di appalti assegnati dalla Rete ferroviaria italiana. Indagine condotta dai pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Luigi Frunzio, si scava sulla rete di contatti del manager Nicola Schiavone. C’è un presunto collegamento con i clan casalesi, che viene confermato dal pentito Schiavone jr, ma anche dalle metafore usate nel nucleo familiare dello stesso «Sandokan». Per spiegare i rapporti tra l’imprenditore e il marito, Giuseppina Nappa ha fatto leva su una metafora gastronomica: «Mio marito ha messo il lievito madre...», riferendosi ai presunti capitali sporchi investiti nelle ditte del manager; e oggi il boss Schiavone si affida a un’altra immagine, sempre di sapore contadino, a proposito delle «terre arate» in favore di Zio Nicola. 

Ma a cosa puntano queste intercettazioni? A leggere l’informativa dei carabinieri, il manager con origini casalesi ma con casa a Posillipo e studio in piazza dei Martiri intreccia rapporti con manager della Rfi (finiti sotto inchiesta), oltre ad essere «interlocutore del presidente di Trenitalia (che non è indagato, ndr), mentre «può contare su contatti con alti prelati e il ministero dei Trasporti».

E la sua vita è tutto un intreccio di viaggi tra Napoli e Roma, di colazioni di lavoro nei migliori ristoranti della Capitale, di ingressi nella sede centrale della Rfi, ma anche di sortite in Costiera amalfitana, con tanto di buste regalo di cravatte di sartoria: è qui, al San Pietro di Positano che, secondo la ricostruzione degli investigatori, Schiavone avrebbe saldato il conto per il soggiorno di Massimo Iorani, direttore dell’area tecnico-commerciale di Rfi. Difesi, tra gli altri, dai penalisti Melania Esposito, Carlo Fabozzo, Giovanni Esposito Fariello, Fabio Fulgeri, gli indagati sono pronti a replicare alle accuse, per dimostrare la correttezza della propria condotta come amministratori pubblici o come manager privati. Dieci appalti nel mirino, si scava nelle carte acquisite in questi giorni, mentre si cerca di capire in che modo l’ex amico di scorribande di Sandokan è riuscito ad avere facile accesso nei colossi dell’imprenditoria di Stato. 
 

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