«I killer di mio fratello sono liberi: è la mia condanna all'ergastolo»

«I killer di mio fratello sono liberi: è la mia condanna all'ergastolo»
di Viviana Lanza
Mercoledì 24 Aprile 2019, 23:00 - Ultimo agg. 25 Aprile, 18:54
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L’omicidio di Dario Scherillo, vittima innocente della faida di Scampia del 2004, è un caso archiviato. Non sono bastati quindici anni di indagini per raccogliere elementi sufficienti a «sostenere l’accusa in giudizio» per dirla con le parole usate dal pm Vincenza Marra nella richiesta di archiviazione che il gip Giovanna Cervo ha accolto, respingendo l’opposizione dei familiari della vittima i quali, assistiti dall’avvocato Giovanni Zara, chiedevano nuovi interrogatori per ex camorristi passati in questi anni a collaborare con lo Stato.
 
Rappresentavano la speranza a cui si erano aggrappati: «Ora siamo delusi» è il commento a caldo di Pasquale Scherillo, fratello di Dario, di fronte alla notizia che il caso è chiuso. Tecnicamente c’è sempre la possibilità di riaprirlo, cosa che sarebbe stata più difficile andando invece a processo con indizi deboli che avrebbero portato ad assoluzioni. E adesso non resta che sperare in una svolta in futuro, come accaduto per l’omicidio di Antonio Landieri, altra vittima innocente della faida, indagine chiusa e poi riaperta e definita con la condanna dei responsabili, a testimonianza dell’attenzione sempre alta che la Dda mantiene su questi delitti, anche a distanza di tanti anni.

Intanto con l’archiviazione escono dall’inchiesta i boss degli scissionisti Raffaele Amato e Cesare Pagano che, difesi dall’avvocato Domenico Dello Iacono, erano stati iscritti nel registro degli indagati come presunti mandanti dell’omicidio Scherillo, e Davide Francescone, come presunto autista del commando di cui avrebbero fatto parte, secondo l’iniziale ricostruzione, anche due killer nel frattempo deceduti. Questi nomi li avevano indicati tre pentiti (Biagio Esposito, Carmine Cerrato e Pasquale Riccio) riportando però informazioni apprese da terzi e confuse nell’indicazione del vero obiettivo dell’agguato. Non v’è dubbio che a morire doveva essere un uomo di fiducia dei Di Lauro ma i pentiti fanno due nomi diversi. 

Possibile che fra tanti collaboratori di giustizia nessuno abbia saputo dire di più? Pasquale, quante volte si è posto questa domanda?
«Tante, e adesso sono molto deluso. Non si può archiviare la vita di un giovane di 26 anni, non si possono archiviare il nostro dolore e il nostro impegno per avere giustizia. La vera condanna la stiamo scontando noi, dal 6 dicembre 2004: è il nostro ergastolo. Quel giorno ha cambiato la vita mia e della mia famiglia. Mio padre morì dopo poco di infarto, mia madre da allora va avanti per inerzia. Se qualche volta sorridiamo ci accorgiamo di farlo con le labbra, mai veramente con l’anima».

Cosa si aspetta adesso? 
«Continuo a sperare di arrivare alla verità e continuerò a impegnarmi perché non venga archiviata la memoria di mio fratello. Continuerò ad andare nelle scuole a raccontare la nostra storia e parlare di legalità. Serve, e me ne accorgo ogni volta che qualche studente viene a trovarmi nella mia scuola guida anche se è più distante da casa, e me ne accorsi qualche anno fa quando una ragazza, con padre e fratello in carcere, mi venne a raccontare di aver concluso gli studi decidendo, dopo un nostro dibattito, di cambiare amicizie e allontanarsi da quello che sembrava un destino familiare già segnato. Sono queste testimonianze che mi danno ora la forza di andare avanti».

La storia di Dario ha ispirato il film “Ed è subito sera” proiettato a febbraio in anteprima mondiale al festival di Los Angeles...
«Avrei voluto che fosse proiettato anche nelle carceri affinché qualche camorrista avesse un risveglio di memoria o di coscienza, ma non è stato possibile. Io, però, continuerò a parlare di Dario, sperando che prima o poi qualcuno si faccia avanti con i magistrati e si possa riaprire il caso».

Chi era Dario?
«Era un giovane con alle spalle una famiglia perbene e davanti il sogno di avere tanti figli con la fidanzata di sempre. Stava cominciando a organizzare le nozze e intanto lavorava nella scuola guida che avevamo aperto a ottobre 2004, 15 giorni prima che scoppiasse la faida. In quel periodo, proprio per paura dei raid, molti genitori ci chiedevano di finire prima le lezioni. Quella sera di dicembre Dario stava tornando a casa in motorino, fu scambiato per un altro e ucciso. Che fosse una vittima innocente si scoprì subito, e devo dire per fortuna perché non è capitato a tutti così, e potemmo fargli il funerale. Abbiamo saputo poi che Dario fu colpito alle spalle cadendo con la faccia a terra. Un testimone ha raccontato che i killer lo ribaltarono per dare l’ultimo colpo, quello che durante la guerra i clan usavano per firmare i loro agguati, ma appena si resero conto che non era la persona che cercavano andarono via. Se questo è vero, sarebbe l’unico gesto di pietà in una storia terribile, che con la notizia dell’archiviazione diventa ancora più dolorosa».
 
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