Galleria Toledo, in scena «Fuga» del Nobel cinese dissidente Gao Xinjan tradotto da Pisciotta con la regia di Montanini

Galleria Toledo, in scena «Fuga» del Nobel cinese dissidente Gao Xinjan tradotto da Pisciotta con la regia di Montanini
di Donatella Trotta
Sabato 4 Maggio 2019, 16:54
5 Minuti di Lettura
È stato il primo scrittore cinese ad essere insignito del Premio Nobel per la letteratura. Ma è stato anche dichiarato persona non grata in patria, e perciò costretto all’esilio dal 1987: quando ottenne asilo politico in Francia dove ormai vive, a Parigi, naturalizzandosi nel 1998 e riuscendo così a esprimere senza restrizioni i suoi molteplici talenti di artista totale. Perché Gao Xingjan (nella foto), classe 1940, prima ancora di essere un intellettuale poliedrico e a più dimensioni – critico letterario, traduttore di Prevert, Beckett, Jonesco, drammaturgo, romanziere, poeta, pittore e regista teatrale e cinematografico - è un uomo libero. Convinto che la libertà individuale sia «una ricerca ultima, se non l’unica, dell’uomo», e che la letteratura, se trascende la politica (e il mercato) sia uno strumento potente per questa indagine infinita, «che ha origine dalla necessità dell’uomo di affermare la propria esistenza», come afferma Gao in un suo recente libro pubblicato in Italia, Per un nuovo Rinascimento (La Nave di Teseo 2018): «La letteratura, solo la letteratura – scrive Gao -, è in grado di rendere manifesto ciò che la politica tace e che l’ideologia non può esprimere, ossia la voce e gli autentici sentimenti di questo individuo fragile. In ogni epoca, la creazione letteraria ha origine dall’esperienza individuale di ciascuno scrittore e prosegue con la sua ricerca del senso ultimo della vita. È un percorso interminabile, un’indagine infinita che ha origine dalla necessità dell'uomo di affermare la sua esistenza, e la letteratura ne è espressione».
 
Anche per queste ragioni, dopo la protesta di piazza Tien’anmen a Pechino, nel 1989, Gao – già costretto in un campo di rieducazione ai tempi della Rivoluzione culturale, quando si trovò costretto a bruciare una intera valigia di propri manoscritti inediti – rassegnò le dimissioni da membro del partito comunista cinese, mentre le sue opere teatrali venivano vietate in patria. E si ispira proprio agli avvenimenti di piazza Tien’anmen la sua pièce teatrale La fuga, che sarà rappresentata a Napoli sabato 11 e domenica 12 maggio nel teatro Galleria Toledo, nell’àmbito della manifestazione «La Cina in scena» sponsorizzata dall’Istituto Confucio. L’evento, che sarà presentato in una conferenza stampa l’8 maggio, rappresenta un appuntamento di particolare interesse, e non soltanto per il testo teatrale del premio Nobel, tradotto dalla sinologa Maria Cristina Pisciotta e messo in scena con la regia di Lorenzo Montanini. Lo spettacolo segna infatti anche il nuovo appuntamento di quello straordinario percorso di insegnamento, apprendimento e divulgazione della lingua e letteratura cinese contemporanea attraverso la sperimentazione di laboratori teatrali, promossi negli anni dalla Pisciotta con gli studenti dell’Orientale di Napoli, di volta in volta interpreti sulla scena – in italiano e in cinese – di opere dell’odierna drammaturgia cinese spesso in prima assoluta in Italia, accanto ad attori e registi professionisti, guide nel complesso percorso di assimilazione e performance dei testi: divenuto non a caso modello didattico esportato con successo anche fuori Napoli.
 
«Fuga – spiega Lorenzo Montanini nelle sue note di regia al testo - è la commedia di Gao Xingjian più impegnata dal punto di vista politico e, allo stesso tempo, la più forte dichiarazione di individualismo, un individualismo che implica tuttavia un forte impegno sociale: è qui che ritroviamo l’eredità cinese di Gao, non tanto nell’uso delle convenzioni teatrali cinesi tradizionali che di tanto in tanto compaiono nelle sue piéces, quanto piuttosto nella sua riluttanza a tagliarsi fuori dalla società e ad accettare un individualismo di tipo occidentale completamente disattento ai problemi socio-politici». Sembra che Gao scrisse nel 1989 Fuga su commissione di un teatro americano che gli chiedeva un testo sui fatti di piazza Tiananmen accaduti pochi mesi prima, ma nel testo non sono presenti riferimenti a fatti storici, né a luoghi geografici. I tre personaggi in dialogo non hanno nome, scappano e si rifugiano in un luogo buio che non riescono a vedere. L’unica informazione data allo spettatore/lettore è che sono due uomini, un giovane studente e uno scrittore più vecchio, e una giovane donna.

«I fuggiaschi – continua Montanini spiegando la propria regia - non hanno volto, possiamo ascoltare soltanto le loro voci e intravederne i corpi in movimento. Così il desiderio di vedere la tragedia - lo stesso che anima giornali e televisioni che in questi giorni ci rimandano le immagini tragiche dei migranti in fuga - rimane inappagato. L’attenzione si sposta invece sul conflitto interiore che anima chi fugge: la scelta impossibile tra difendere i propri cari e la propria terra o salvare se stessi, quel conflitto intimo e irrisolvibile tra il desiderio di riscatto, la forza di combattere per un ideale e l’istinto di sopravvivenza, tra l’uomo pubblico insomma e quello privato». Già. Perciò i tre protagonisti si muovono quasi incessantemente sulla scena come animali in gabbia: e nella metaforica compressione del luogo nel quale si rifugiano e dal quale non possono più uscire, le passioni assumono dimensioni troppo grandi per essere trattenute e le relazioni tra i tre diventano così lo specchio di quello che avviene fuori». Ossia, aggiunge Montanini, «mentre fuori in strada l’uomo combatte per avere più giustizia ed eguaglianza, dentro alla cantina di Fuga è l’uomo privato a rivelare i segreti nascosti in fondo alla propria anima: luogo nel quale il brusio della vita sociale arriva soltanto come un rumore ovattato e lontano e dove ci si può rivelare perché protetti dall’oscurità».

Chiave di lettura preziosa, per uno spettacolo da non perdere per assaporare il pensiero critico e la Weltanschauung di Gao, il suo anelito alla libertà che non passa mai per un individualismo solipsistico, ma semmai per una autonomia di giudizio nel confronto con gli altri: «Gao – conclude Montanini - non cerca in questa opera di costruire una barriera fra sé e il mondo esterno, ma neppure di armonizzarli: rivendica unicamente una indipendenza che consenta all’individuo di sgombrare la sua mente da ogni convenzione e fare le scelte migliori per se stesso, perché “la vita dell’uomo sta sempre al disopra delle dottrine e delle speculazioni sull’esistenza.”».
© RIPRODUZIONE RISERVATA