Cammariere: «Canzoni d'amore
e resistenza, ma con più ritmo»

Sergio Cammariere
Sergio Cammariere
di Federico Vacalebre
Giovedì 9 Maggio 2019, 09:06
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Se «La fine di tutti i guai» rinnova il sound di Sergio Cammariere lo fa senza nulla cedere alle ansie moderniste, al bisogno di essere in sintonia con l'hype sonico del momento, anzi. E conferma, dopo un disco strumentale come «Piano», la voglia di lavorare sulla forma canzone con amore immutato.
Siamo al decimo album, Sergio.
«E al ventisettesimo anno della mia collaborazione autorale con Roberto Kunstler: lavoriamo quotidianamente, scrivendo testi nuovi e aggiornando testi già abbozzati, tanto che abbiamo pronti già abbastanza pezzi per un altro album. Non cambio per inseguire l'onda del momento, cerchiamo di scrivere canzoni che durano. Come Tutto quello che un uomo, come L'amore non si spiega».
Citi due pezzi che hai lanciato a Sanremo.
«Sì, il Festival per uno come me può essere preziosissimo, anche se continuo a preferirgli il Premio Tenco. Ho provato a tornare all'Ariston anche quest'anno, ho proposto ben tre brani di questo cd, ma... niente da fare, non sono piaciuti. Forse perché non ho alle spalle scuderie forti come Friends and Partners».
Polemico? Torniamo al disco, bello, delicato, intenso, molto anni Settanta, con la riabilitazione degli assoli di chitarra.
«Sono di un napoletano, Maurizio Fiordiliso. Ho fatto un disco che mi stesse comodo e che fosse approvato dal mio gatto Pippo. C'è la chanson, c'è il blues, ci sono le atmosfere notturne, i miei classici sei ottavi, la bossanova, ma anche il funky, il soul, una cosa quasi rappata come Dimmi almeno una parola per cui ho guardato a Zucchero. Se conosci il blues te la aspetteresti da un Edoardo Bennato, non da me. Volevo allargare il mio sound restando fedele ai miei gusti, aggiungendo ritmo, persino ballabile. In fondo la canzone d'autore non ha un solo suono possibile, ma mille, ed io sto imparando ad usarne parecchi sempre partendo dal pianoforte, il mio miglior amico».
I testi di Kunstler restano nel solco di emozioni d'amore e amicizia, ma, in fondo, l'iniziale «Danzando nel vento» è un rhythm and blues di resistenza.
«Sì. E Io so, l'unico brano non inedito, visto che l'avevo proposto nel 1997 al Premio Tenco aspettando fino ad oggi che la sua stesura fosse completa, è un manifesto di pace, di bellezza, di amore: queste cose sono la fine di tutti i guai di cui parla il titolo. Questi sono gli antidoti agli anni intossicati che stiamo vivendo. Un'utopia? Forse, ma non mi sembra una parolaccia, anzi».
C'è anche un piccolo film a cartoni animati ad accompagnare il disco.
«È un videoclip scritto e diretto da Cosimo Damiano Damato, quasi il sequel di quello che aveva fatto per il documentario su don Andrea Gallo: lì, sulle note di La pace dal mare lontano, ero una sorta di Noè sull'arca della musica, che imbarcava Lucio Dalla-ragno, Pino Daniele-panda, Fabrizio De Andrè-cavallo, Francesco De Gregori-rospo. Qui sono un tassista che attraversa Roma di notte, incontrando Marilyn, Maria Callas, Pier Paolo Pasolini, Totò, Fellini, Ninetto Davoli, i Blues Brothers, Frida Kahlo: la grande bellezza, lo ripeto, come fine dei nostri guai. In fondo è un omaggio alla capitale, nonostante le buche, la monnezza e quelli di Casa Pound».
A proposito di docufilm: e quello tuo su Rino Gaetano?
«Da quando nel 1996 ho scoperto che eravamo cugini - la madre di Rino e mio padre non sapevano di essere fratelli - ho girato molto materiale. Diciamo che l'ossatura è pronta ma sto cercando dei finanziatori per poterlo finire».
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