IL CENTRO
Shenzhen infatti, si è trasformata nella Silicon Valley d’Oriente. La base operativa da cui le aziende tecnologiche cinesi cercano di scalare i mercati globali. Su tutte Huawei, fondata qui nel 1987 dall’ex ufficiale dell’esercito popolare cinese Ren Zhengfei, e arrivata a fatturare 105,2 miliardi di dollari nel 2018. E proprio a mezz’ora dal centro di Shenzhen, a Dongguan, il colosso ha da poco inaugurato una nuova sede. Un quartier generale da 1,3 miliardi di euro e 1,4 milioni di metri quadrati che ospita il centro di ricerca e sviluppo. Il cuore pulsante di Huawei dove, ogni mattina, si recano oltre 25mila lavoratori.
Una decisione che non ha colto di sorpresa i cinesi. «Ci aspettiamo altre mosse» diceva mercoledì sera, appena poche ore prima del comunicato della Casa Bianca, un funzionario di Huawei. Ma le «ingerenze da parte di Pechino» paventate da Trump «non possono esistere» anche perché «l’azienda è di proprietà dei lavoratori e non risponde al governo».
IDENTIKIT
Huawei è una società privata non quotata in borsa di cui il patron Zhengfei detiene solo l’1.4% delle azioni. La restante parte è nelle mani di quella che viene definita l’Unione, ovvero tutti i dipendenti che lavorano in Cina. E ancora, continua, gli Usa «non hanno prove» per le loro accuse, si tratta «solo di una questione politica» nascosta dietro la cybersicurezza. Ma dopo anni attacchi, qualcosa sembra si stia smuovendo come dimostrano le resistenze di Italia, Germania e molti altri Paesi. «Le persone ormai lo hanno capito. E poi noi non siamo Amazon, non facciamo affari con i dati raccolti dagli utenti».
A parlare, in un’elegante saletta privata del quartier generale di Huawei, è Joe So, responsabile del lato tecnologico che abbiamo incontrato al termine dello Shenzhen Smart City Forum, una due giorni sulle città intelligenti conclusa mercoledì. «Siamo interessati solo a vendere dispositivi - continua in riferimento a smart cities e 5G - forniamo l’infrastruttura, poi sono i clienti e i partner locali a decidere come manipolare i dati raccolti». Nessun pericolo per la sicurezza, anzi. «Abbiamo centri sviluppo in tutti i Paesi e ne apriremo ancora nei prossimi mesi. Uno anche a Roma» dice. Poco importa se Trump è d’accordo o meno.