Daniel Oren porta la Tosca a Salerno: «Opera simbolo nell'era di Me Too»

Daniel Oren porta la Tosca a Salerno: «Opera simbolo nell'era di Me Too»
di Donatella Longobardi
Sabato 18 Maggio 2019, 14:00
3 Minuti di Lettura
«Ora il mio impegno è avvicinare i giovani perché capiscano la portata e la potenza del messaggio della lirica e perché riscoprano l'importanza di un'arte per secoli appannaggio dell'Italia e ora dimenticato». Pronto a salire in cattedra mercoledì all'Università di Salerno e iniziare una nuova mission tra gli studenti, Daniel Oren sarà già oggi in città per presentare il debutto di un nuovo allestimento di «Tosca» al Teatro Verdi (da martedì con repliche il 25 e 29 maggio) con la regia di Michele Sorrentino Mangini che proprio a Salerno ha riscosso un personale successo con il suo «Barbiere». Ora il regista napoletano si prepara ad una nuova sfida con il capolavoro di Puccini interpretato da una star del belcanto come Maria Josè Siri affiancata da Gustavo Porta nei panni di Cavaradossi e da Sergey Murzaev come Scarpia. «Sarà una bellissima edizione, c'è un cast stellare, faremo scintille», promette Oren, da sempre paladino delle grandi voci e scopritore di talenti.

E cos'altro sarà questa «Tosca», maestro?
«Come sempre una denuncia, modernissima dello strapotere delle dittature e dei governi assoluti, ma anche della prevaricazione dell'uomo sulla donna. Floria Tosca si ribellò alla violenza di Scarpia, è un simbolo in epoca di Me Too».

Quante direzioni di questo titolo ha all'attivo?
«L'opera torna ciclicamente. Ho appena chiuso dodici recite in Israele ed è stato sempre sold out. Dirigere nel mio Paese mi fa sentire forte il richiamo delle radici, mi sento più libero. Ma gran parte del successo era dovuto a scene e costumi bellissimi, tratti dai bozzetti della prima edizione nel 1900 a Roma».

Lei non ama certi allestimenti troppo essenziali.
«L'allestimento di buon gusto aiuta ed esalta la musica al cento per cento».
 
E le voci?
«Beh, come farne a meno. Ho diretto in passato al San Carlo Pavarotti e la Kabaivanska, all'Arena di Verona Shirley Verret nell'84. Era il mio primo festival. Ora ne sono direttore musicale e riproporrò l'opera in agosto e avrò con me Saioa Hernández e Hui He; a Salerno c'è un cast egualmente di primissimo piano».

Da più parti però si critica il costo di certe operazioni, cosa ne pensa?
«La cultura costa. Se dobbiamo fare spettacoli di alto livello dobbiamo spendere. Diamo lavoro non solo ai solisti, ma a orchestrali, coristi, tecnici, centinaia di persone che formano la grande famiglia del Teatro Verdi. Un teatro che ha svolto un ruolo fondamentale nella fase di rinascita di Salerno. E poi, qui tutti amiamo il calcio e nessuno si scandalizza se un giocatore costa milioni di euro ma per la cultura non vogliamo spendere, cosa lasciamo ai nostri giovani?».

Terrà una lectio magistralis al Teatro di Ateneo nell'ambito di «Open class», il format pensato da Alfonso Amendola con l'associazione Tempi Moderni.
«E dirò loro queste cose. Che a Parigi l'Opera Bastille costa 250 milioni l'anno, che la cultura è vita, aiuta l'anima. Ed è sviluppo civile, umano. Per questo è giusto investire in questo campo. Perché è uno degli elementi base di sviluppo del territorio ed è un'occasione che offre importanti opportunità lavorative in tanti settori».

Le nuove generazioni sono un po' lontane da questo mondo, non le pare?
«E dobbiamo avvicinarle, come fa Tempi Moderni', andare loro incontro. Ascoltare la Callas in Casta Diva non dà meno emozioni dei Pink Floyd. Ho intenzione di fare la mia parte e invitare un gruppo di ragazzi a seguirmi nel backstage di Tosca a Salerno e poi all'Arena di Verona. Voglio mostrare loro questo mondo straordinario, raccontare le storie di Mimì, di Butterfly, di tutti i grandi personaggi che ho avuto la fortuna di incontrare nei miei anni di militanza nella musica. Qualcuno potrebbe decidere di seguirmi, no?».»
© RIPRODUZIONE RISERVATA