Il doppio patriottismo che può riscattare l’Italia e l’Europa

di Osvaldo De Paolini
Giovedì 23 Maggio 2019, 00:00 - Ultimo agg. 10:16
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La parola patriottismo non figura nelle 23 pagine dell’intervento che ieri Vincenzo Boccia ha letto davanti a 4 mila imprenditori aprendo la sua ultima assemblea di Confindustria da presidente. Di esortazione al patriottismo, anzi al doppio patriottismo, sono però impregnati i concetti che egli ha trasmesso alla platea.

A cominciare dall’affermazione che l’Italia deve restare unita e compatta perché, stante la situazione di grande precarietà degli equilibri mondiali, solo così il nostro Paese avrà qualche possibilità di agganciare il convoglio della crescita e quindi di arrestare - anche grazie al fitto reticolo di imprese che si estende da Nord a Sud e all’efficienza imprenditoriale che ci viene unanimemente riconosciuta - il persistere delle disuguaglianze e la fuga dei giovani, in particolare dei 65 mila che ogni anno lasciano il Mezzogiorno così impoverendo di energie vitali una macro regione che potrebbe diventare un motore formidabile di crescita nazionale. Appare evidente che affinché ciò sia possibile è necessario un bagno collettivo di realismo e pragmatismo, di volontà di collaborazione che metta al bando le promesse fatue di un mondo politico che fin qui ha saputo solo dividersi in una spasmodica ricerca del consenso che non bada a spese. Tuttavia, nemmeno aiutano le parole dei pifferai di sventura che inducono alla sfiducia, che evocano negatività perché, per dirla con Boccia, esse sono contro l’interesse nazionale.

Passa perciò altrove il sentiero che tra vent’anni potrebbe offrire ai giovani nati il 22 maggio 2019 un’Italia di visione e di piena occupazione - come ben rappresentato nel cortometraggio futurista che ha introdotto la relazione di Boccia - dove le grandi infrastrutture al servizio del Paese non spaventano ma anzi inorgogliscono, dove un fisco più sostenibile non scatena sentimenti di ribellione nel contribuente, dove le disuguaglianze si sono fortemente attenuate e dove il bisogno di studiare, progettare e costruire ha finalmente prevalso sulla bulimia di realtà virtuali alimentata dai social e dalle illusioni del web.

Sogno e speranza, si dirà. Certo, in quel filmato c’è molta speranza e tanto ottimismo. Ma se esiste una possibilità che quella visione possa anche solo in parte avverarsi, ebbene il sentiero non può che passare attraverso un’Italia unita e fortemente radicata in un’Europa unita. E qui s’innesta l’altra esortazione implicita al patriottismo contenuta nelle parole del presidente di Confindustria, la cui relazione è stata peraltro molto apprezzata oltre che dal mondo delle imprese anche dalle più alte cariche istituzionali.

Ora, affermare che Confindustria è europeista è di per sé un’ovvietà: negli ultimi cinquant’anni i vari presidenti che si sono succeduti hanno sempre esaltato il progetto di Unione che porta il nome di Altiero Spinelli. Sarebbe però un errore affermare che gli imprenditori italiani sono innamorati di un’Europa purchessia. Tanto è vero che ieri il loro presidente non ha esitato a precisare che l’Europa che fin qui abbiamo conosciuto non è quella cui anelano gli industriali. Al punto che il paradigma del rigore tout court, che ancora oggi domina le direttive di Bruxelles, va letteralmente ribaltato: prima le misure necessarie alla crescita e poi, ma solo dopo, i saldi di bilancio. Nessuno nega i benefici in termini finanziari che l’introduzione dell’euro ha procurato ai nostri conti pubblici, e tuttavia è giunto il momento che l’Europa dia ascolto a quanti chiedono, non solo in Italia, che l’impostazione del Patto di Stabilità e Crescita venga modificata in Patto di Crescita e Stabilità: perché è noto che solo con la crescita può essere garantita la stabilità. E stabilità vuole anche dire robustezza economica, il solo linguaggio che oggi colossi come Stati Uniti e Cina intendono quando discutono degli equilibri mondiali. E se è inimmaginabile che l’Italia da sola possa ambire a tanto, solo un’Europa più coesa e forte può pensare di competere alla pari con loro. Per questo il nostro Paese non può mancare all’appello europeo, assicurando una partecipazione attiva e intelligente alla costruzione del nuovo modello.

Già abbiamo visto, ci ricorda Boccia, i danni provocati in Libia da un’Europa divisa ed esasperatamente opportunista, e poiché il costo maggiore di quella politica insensata sta già ricadendo proprio sull’Italia anche in termini di nuovi rischi migratori, è chiaro a chiunque quanto sia importante puntare a un’Europa migliore ma soprattutto unita e compatta.
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