Voto per l'Europa, il Sud dimenticato: i big della politica snobbano il Mezzogiorno

Voto per l'Europa, il Sud dimenticato: i big della politica snobbano il Mezzogiorno
di Mario Ajello
Venerdì 24 Maggio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 08:25
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Non è un caso. Non lo è affatto. Perché vista la rimozione del tema Mezzogiorno dall'azione del governo e la scarsa centralità della questione meridionale nella campagna elettorale per le Europee, risulta quasi ovvio e naturale che nessuno dei leader chiuderà stasera il tour dei comizi in una città del Sud. Come se questo pezzo d'Italia non esistesse. Ecco allora Matteo Salvini che conclude il suo giro per le piazze italiane a Piacenza (ma salta altre tappe in Emilia temendo contestazioni), a riprova del suo pallino che è quello di espugnare l'Emilia rossa sia domenica sia alle regionali dopo l'estate. Luigi Di Maio non punta sul Sud, forse anche perché si sente più sicuro laggiù rispetto al Centro dove deve recuperare o rispetto al Nord dove deve dimostrare che il grillismo esiste anche se non si vede più e alle ultime elezioni amministrative ha raggranellato pochissimi voti. Insomma chiude la campagna elettorale a Roma il capo M5S. Rinunciando ad andare a sventolare nel Mezzogiorno il reddito di cittadinanza - forse perché si aspettava di più propagandisticamente parlando da questa misura assistenziale pensata per il Sud e penalizzante per una terra che ha bisogno di lavoro? - ed evitando magari anche contestazioni in una terra che è stata granaio di voti grillini il 4 marzo 2018 ma poi, vicenda Tap, la retromarcia sull'Ilva e via dicendo, ha mostrato segni forti di disaffezione. Come nel voto in Abruzzo e in Molise, anche se in alcune città siciliane alle ultimissime amministrative i pentastellati sono andati benino.
 
Non stupisce la scelta geo-politico-elettorale dei vicepremier nell'ultimo giorno di gara, perché fa emergere appunto un dato di fatto: l'abbandono del Mezzogiorno nelle politiche dei giallo-verdi. A dispetto di tutti i proclami sia di Salvini sia di Di Maio. E nonostante la ministra per il Sud, Barbara Lezzi, ripeta che «finalmente questa parte d'Italia con il nostro governo torna ad avere quanto gli spetta». Ma la lista degli interventi - per esempio «l'aumento dal 28 al 34 per cento delle risorse ordinarie dello Stato per il Mezzogiorno», in realtà la norma l'aveva fatta il governo di centrosinistra, con Delrio - non sembra sufficiente a rovesciare una situazione che vede il progetto autonomista, voluto dai governatori del Nord e non ancora abbandonato, come uno SpaccaItalia a tutto detrimento delle regioni più deboli. Mentre le polemiche salviniste-lumbard contro il SalvaRoma rappresentano la riprova di quanto si voglia indebolire il ruolo della Capitale, anche come garante degli interessi di tutte le parti della nazione.

I duumviri giallo-verdi che scelgono altre latitudini, lontane dal Mezzogiorno, avrebbero potuto scegliere il Sud come luogo cruciale della battaglia, sottolineando quanto il riscatto del Mezzogiorno d'Italia sia o dovrebbe essere un tema europeo per eccellenza. Come hanno insegnato i migliori meridionalisti - parola desueta, purtroppo - da Pasquale Villari a Gaetano Salvemini. E invece, niente. Non a caso nel Contratto di governo il Sud non esiste, se non in due righette banali e pure sgrammaticate, e nella prima stesura del documento neppure veniva citato. Nell'illusione, di Salvini e non di Di Maio ma Luigi non s'è battuto evidentemente, che il Nord possa ricominciare a correre tirandosi dietro un Sud impoverito e spolpato. E invece c'è da dubitare assai - come scrive l'economista Emanuele Felice nel suo nuoco saggio: «Il Sud, l'Italia, l'Europa» (Il Mulino) - «che sia possibile rimettere in carreggiata il nostro Paese senza il contributo attivo della società e delle istituzioni meridionali: senza, quindi, un loro cambiamento profondo».

Ma occhio anche a Nicola Zingaretti e a Emma Bonino: chiudono a Milano. La Meloni - che pure insieme a Tajani è stata la più combattiva nella battaglia per gli interessi di Roma minacciati dal nordismo di ritorno - conclude prima a Torino, poi a Bergamo. Silvio Berlusconi niente piazze, solo maratona tivvù. Per quanto riguarda i gialloverdi, il Mezzogiorno disertato alla fine di questa corsa è il Mezzogiorno snobbato lungo l'intero anno del governo Conte.

Anche se il premier più volte, e anche in occasione della bella vittoria di Matera come capitale europea della cultura, ha ripetuto: «La diseguaglianza tra Nord e Sud rappresenta una profonda ferita nel nostro Paese. Proprio per questo il riscatto del Mezzogiorno è oggi una priorità a vocazione nazionale». Eppure, per questa parte d'Italia, a parte l'aumento della dotazione per le Zone economiche speciali, manca ad esempio, perché non prorogato né rifinanziato, lo strumento - il credito d'imposta Sud - che ha dato più frutti nel promuovere gli investimenti per le imprese. E ciò nonostante che nel Rapporto Pmi Mezzogiorno 2019, di Cerved e Confindustria, emerga che dopo anni di riduzione le piccole e medie imprese tra i 10 e i 250 dipendenti abbiano ripreso ad aumentare. Ma sul Sud nessuno sembra spingere davvero, certamente non lo fanno i giallo-verdi. Come se possa esistere l'Europa, ammesso che anche l'Europa interessi davvero, senza il suo tacco e la sua fondamentale proiezione nel Mediterraneo.

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