Napoli, tra crisi, riciclaggio e fitti alti gettano la spugna 7 negozi al giorno

Napoli, tra crisi, riciclaggio e fitti alti gettano la spugna 7 negozi al giorno
di Valerio Iuliano
Sabato 25 Maggio 2019, 07:30 - Ultimo agg. 10:30
3 Minuti di Lettura
I consumi calano, l'economia non cresce e una delle prime conseguenze è la chiusura di tante attività commerciali. A Napoli i dati relativi alle botteghe che hanno abbassato le saracinesche sono eloquenti: sette negozi ogni giorno sono costretti ad interrompere l'attività. Un declino progressivo e inarrestabile registrato negli ultimi 8 anni, che per la Confesercenti scaturisce da un fatto oggettivo. «Dal 2011 ad oggi - spiega Vincenzo Schiavo - la Campania, come il resto del Paese, è più povera». Considerazione che vale soprattutto per Napoli e provincia.
 
Un territorio in cui, secondo lo studio condotto da ConfesercentiCER sulla spesa delle famiglie e sull'impoverimento dell'economia, 1,2 milioni di famiglie hanno speso 23,8 milioni di euro in meno dal 2011 al 2018. Un dato che si traduce in quasi 24 milioni di introiti in meno per le imprese del territorio. La riduzione dei consumi da parte delle famiglie ha avuto un impatto molto forte sulle imprese della distribuzione commerciale. E il boom del turismo in cittàm non ha avuto effetti positivi. «Il dato sulla spesa delle famiglie è molto preoccupante prosegue Vincenzo Schiavo se si somma al dato che, dei 153 negozi che in Italia chiudono ogni giorno dal 2011 ad oggi, circa 7 sono relativi al nostro territorio. Immaginando che siano tutte piccole imprese, dove lavorano almeno il titolare e altre due persone, parliamo di 21 cittadini ogni giorno che si ritrovano per strada, ovvero 7665 in un anno. Un esercito di silenziosi disoccupati che va a finire nel nulla.

Migliaia di imprenditori e dipendenti che perdono la dignità del lavoro e sono disoccupati silenziosi, non sono quelli che si incatenano ai cancelli o che vanno in strada a protestare. I consumi delle famiglie sono calati in tutti i settori, con l'eccezione dei trasporti e dei servizi sanitari.

Ma c'è un settore che patisce più degli altri gli effetti della crisi. «Il 70% dei negozi che chiudono i battenti a Napoli - continua Schiavo - appartiene all'abbigliamento». La spesa media delle famiglie per il vestiario è calata di 280 euro l'anno dal 2011 ad oggi, secondo l'associazione. Un effetto, oltre che della generale disaffezione nei confronti della moda - che «non è più nel Dna degli italiani». Alla diminuzione di negozi di abbigliamento corrisponde in molti casi un incremento dei ristoranti. A Napoli il food va a gonfie vele. Altrettanto significativa- in termini numerici- l'ascesa dell'e-commerce. Gli acquisti online sono in voga anche in città.

Secondo i dati di Confesercenti, alla fine del 2018 le imprese attive nel commercio via internet avevano superato le 22mila unità, il 119,8% in più rispetto al 2011 anche lo sviluppo al Sud appare ridotto. Ma resta una questione di fondo. La desertificazione di alcune strade un tempo regno dello shopping - via Duomo in primis - e l'alto tasso di povertà media hanno determinato il fallimento di svariate migliaia di attività commerciali in città. «La riflessione che dobbiamo fare conclude Schiavo è che la politica deve interessarsi quanto prima a questo tsunami che arriva sulle spalle di imprenditori che vivono come un fallimento personale oltre che professionale la chiusura di un negozio. Sono persone che sono diventate povere dall'oggi al domani. La politica nazionale e quella locale devono avvicinarsi a queste realtà per dare economia al nostro territorio. La Campania ha troppe persone povere, bisogna aiutare queste famiglie. Dobbiamo arrivare al punto che le famiglie campane, avendo disponibilità in tasca di 100 euro, devono poter contare su un 70% di spesa, come accade in tutti i paesi civili, e non pensare che il 50% va allo Stato per la pressione fiscale». Sulle attività commerciali incombe anche il possibile aumento dell'Iva inserito nelle clausole di salvaguardia 2020. Un'eventualità che annullerebbe gli effetti del probabile leggero incremento della spesa delle famiglie, che Confesercenti ipotizza per il 2020.
© RIPRODUZIONE RISERVATA