Massimo Riva, la sorella Claudia racconta la storia del chitarrista di Vasco: «Era puro rock'n'roll»

Massimo Riva, la sorella Claudia racconta la storia del chitarrista di Vasco: «Era puro rock'n'roll»
di Simona Orlando
Venerdì 31 Maggio 2019, 15:27 - Ultimo agg. 15:48
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Tra una brutta notizia e una buona, si sceglie sempre la prima, per cancellarne l’amarezza con la seconda. Con lo stesso ordine procede il libro “Massimo Riva Vive!” (Baldini e Castoldi) scritto da Claudia Riva (con il giornalista Massimo Poggini), sorella oggi 44enne dello storico chitarrista di Vasco Rossi, morto per overdose il 31 maggio 1999, a 36 anni. Si parte con il pugno allo stomaco, il corpo riverso a terra di un ragazzo che non stava mai fermo, ma poi seguono oltre duecento pagine di lui vivace e vorace, la parabola da Zocca a San Siro, tra bevute donne, albe e canzoni. La prima chitarra suonata in una lavanderia, l’esperienza a Punto Radio, il rapporto con Vasco, i primi concerti con più gente sul palco che sotto, la voglia di continuare nonostante il pubblico tirasse monete e lattine, successi, eccessi. E quel ‘cinno’, folletto che era uno spettacolo nello spettacolo, si mangiava il palco, mimava gli assoli di Maurizio Solieri facendolo incazzare, simulava gli spari su “Non siamo mica gli americani”.

Il ricordo pulsa e a vent’anni di distanza si celebra il Massimo Riva Day, oggi alle 18.45 al Festival della Parola di Chiavari, Auditorium San Francesco: presentazione del libro, poi suoneranno Maurizio Solieri, Mimmo Camporeale, Andrea Innesto e Beppe Leoncini, storici componenti della sua Steve Rogers Band. Al gruppo si unirà anche Ricky Portera, grande amico di Riva. Saranno esposte per la prima volta le 16 tavole di un fumetto intitolato Plopt che Massimo realizzò a 11 anni e intanto è stato messo on line un video della sua canzone più amata, Vivere, di cui compose la musica assieme a Tullio Ferro nella magica tarsferta a Villa Condulmer. Massimo dal vivo la cantò una sola volta, il 20 marzo 1999 al teatro Odeon di Lumezzane (Bs). Impegnativo parlare di chi non c’è più ma è stato così presente da non andarsene nemmeno una volta che se ne è andato. Di lui, ci racconta la sorella Claudia.

Quando ha trovato il coraggio di scrivere di suo fratello?
«Qualche anno fa, in una giornata a Zocca, ho buttato giù una ventina di pagine, ma andavo avanti a singhiozzi. Troppo difficile affrontare il passato con lui e il presente senza lui. Poi però ho cominciato a fare interviste ad amici e colleghi, spuntavano aneddoti, cose che non sapevo, e sono riuscita ad andare avanti»

Cosa ha scoperto?
«Ad esempio che sul palco era casinista ma in studio meticoloso, esigente, arrivava sempre in anticipo».

In generale però le descrizioni corrispondono a suo fratello?
«Sì. Volevo raccontare la storia della persona, non del musicista, ma nel caso di Massimo le cose coincidono, perché era fatto di musica, sul palco e fuori. Rock ‘n’ roll allo stato puro. Al concerto degli U2, pur avendo il salotto vip, volle seguire il concerto fra la gente, che riconoscendolo gridava “Uno di noi”. Se lo cercavi in albergo, la centralinista ti rispondeva: ”In camera non c’è, sta nella hall a suonare il pianoforte”. Nascondeva i tormenti per proteggere chi gli stava accanto, ma era acceso, un vulcano di idee, così ho privilegiato gli aneddoti divertenti, molti raccontati da Vasco in incontri per entrambi emotivamente faticosi».

Vero che litigavano per le donne?
«Vasco dice che finito il concerto, mentre faceva la doccia, Massimo gli portava via tutte le fan. Allora diede la regola ferrea che non poteva lasciare il camerino finché non usciva lui. Lo licenziava per scherzo ogni volta che esagerava. Avevano un rapporto simbiotico»

Andarono anche a vivere insieme a Bologna.
«Massimo era per Vasco il fratello minore, l’alter ego. Mio fratello gli si mise alle costole a 12 anni, quando insisteva per andare in onda a Punto Radio. Diventò il suo chitarrista senza nemmeno averla, una chitarra. Era una spugna, imparava tutto in fretta. A Vasco manca molto quel senso di completezza»

Inseparabili anche quando si divisero?
«Vasco lo visse come un tradimento il fatto che Massimo e la Steve Rogers Band scegliessero un percorso autonomo, ma rimasero amici, non si lasciarono mai, anzi, pur non suonando dal vivo insieme, nacquero le loro canzoni più belle, chiusi in una villa veneta».

Non mi va, Vivere, Stupendo, Vivere una favola, Un gran bel film, Io No, e tante altre che Riva non scrisse ma ispirò. Si riunirono nel ‘95 per Rock sotto l’assedio. O sotto l’assedio del rock? Perché a certe dinamiche non si sfugge.
«Vero, la sua fine è quella di tante storie rock. Massimo a tre anni già leggeva e scriveva, poco dopo suonava senza avere uno strumento. La sua era una vita accelerata, oltre la miseria della normalità. Una vita al massimo. Ogni giorno con lui era un’avventura. C’è un aneddoto che può spiegare com’era fatto»

Le va di ricordarlo?
«A 18 anni, con il solo foglio rosa, decise di comprare una Jaguar, molto al di sopra delle sue possibilità. Al quarto chilometro prese male una curva e finì in un dirupo con nostro fratello Giuliano. L’auto era distrutta, ma Massimo ne uscì dicendo: “Che vuoi che sia. Ne compreremo un’altra!”. La macchina diventò il pollaio delle nostre galline».

A Zocca era “quello strano”?
«Con Vasco erano i belli e dannati, fuori di testa. Il parroco mi diceva che chi viveva di notte aveva scelto il demonio, e io ero additata come la sorella del matto. Il paese non li apprezzò nemmeno quando fecero successo, ci volle un bel po’ prima che li osannasse. Ora è facile, Zocca è meta di pellegrinaggio e c’è la scuola di musica Massimo Riva, messa su con i proventi del brano “La fine del millennio».

Se i primi testi erano leggeri, gli ultimi, compresi gli inediti del libro, evidenziano un certo malessere. C’era stato un cambio di rotta?
«Aveva voglia di fare cose più profonde ma forse non veniva preso sul serio. Nell’ultimo periodo era spaventato, cambiava umore, tipico degli ipersensibili. Oscillava fra ilarità e depressione, ma sempre tenendosela per sé. Con me era iperprotettivo. Non si mostrava fragile e insicuro. Credo che la sua morte abbia segnato anche la fine di un periodo di goliardia di chi lo frequentava. Non si scherzava più»

Vasco non ha mai fatto un concerto senza ricordarlo.
«In genere lo fa su Canzone, che originariamente era dedicata a suo padre. L’hanno cantata spesso sul palco insieme ed è un momento toccante, con lo sguardo al cielo e il saluto “Viva Massimo Riva, sei sempre con noi”. Non sarà facile per Vasco domani sera a San Siro, a vent’anni esatti da quel giorno maledetto».
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