La sfida di Tria: per il Mezzogiorno pronti 87 miliardi, dateci i progetti

La sfida di Tria: per il Mezzogiorno pronti 87 miliardi, dateci i progetti
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 5 Giugno 2019, 07:00 - Ultimo agg. 13:39
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Fa analisi, radiografa una realtà nota, ma con poche proposte o ipotesi di soluzioni. Il ministro dell'Economia e delle finanze, Giovanni Tria, conclude a Napoli il convegno del centro studi Gruppo Intesa Sanpaolo (Srm) sulla presentazione della rivista «Rassegna economica» che si occupa di legalità e sviluppo nel Mezzogiorno. Parla di Sud e spiega che mancano servizi, infrastrutture, collegamenti e servirebbero investimenti pubblici. Nessuna novità.
 
«Stiamo mettendo in fila tutti i provvedimenti del Mezzogiorno che vanno dai contributi sociali, al mercato del lavoro, agli investimenti, all'utilizzo dei fondi strutturali» dice il ministro. E spiega: «Sono tutti buoni provvedimenti, ma non collegati, gli uni agli altri e perciò serve un piano che li armonizzi». Gira, gira e si scopre che non coordinare tutti gli interventi legislativi finisce per penalizzare il Sud. Eppure, aggiunge Tria, «il quadro degli investimenti per dieci anni ha uno stanziamento di 85-87 miliardi di euro». Sono «una cifra enorme» per il ministro. Che, però, sottolinea «l'incompetenza tecnica della pubblica amministrazione». Se ci sono i fondi, occorrono progetti per utilizzarli in lavori e appalti ponderati. Ma i progetti vanno elaborati al meglio. E dice Tria: «Per portare avanti un progetto occorre che sia fatto bene. Vanno ricreate le capacità tecniche della pubblica amministrazione».

Il disavanzo nord-sud è soprattutto nelle infrastrutture che rendono poco attrattivo il Mezzogiorno per investimenti e centri di ricerca. Non è una novità, ma Tria lo ripete: «Ne parlavo con il ministro delle Finanze tedesco e si insisteva sul rischio in cui può incappare chi deciderebbe di lavorare nel Mezzogiorno. C'è un bel clima, bei posti, si mangia bene, ma c'è mancanza assoluta di servizi. Se un investitore vuole venire con la famiglia, si trova senza asili nido, con scuole carenti, poca vivibilità complessiva».

È l'assenza di servizi e di infrastrutture che stringe il Sud in una morsa. Il ministro sa cosa occorrerebbe: «Ci vogliono investimenti pubblici al Sud, manca un intervento pubblico dello Stato». Ma chi dovrebbe programmarlo se non il governo, mettendo in agenda il Mezzogiorno, occupandosene in concreto? «Una crescita endogena, con eccellenze riconosciute, urta subito con le carenze infrastrutturali. Così, quando si analizzano i dati aggregati cadono le braccia. La situazione è simile per tutta l'Italia, quando abbiamo a che fare con gli altri Paesi europei. Abbiamo grandi eccellenze e produttività, ma i dati aggregati poi ci dipingono una situazione negativa», «il dato aggregato è sconfortante, è una questione su cui riflettere».

«Un crollo di investimenti pubblici nel Mezzogiorno» ammette il ministro, che spiega come «più cresce l'economia, più non c'è bisogno di sforare il debito pubblico». È il cane che si morde la coda se «dare fiducia a chi vuole investire in Italia» significherebbe fargli trovare servizi, infrastrutture, collegamenti efficienti. Al nord come al sud.

Anche, lo ricorda il ministro, la famosa «via della seta» favorisce porti non meridionali se Gioia Tauro è tagliato fuori dalla concorrenza di Tangeri. E le regioni del nord sono più vicine ai grandi mercati europei. Il nodo è accorciare le distanze, ma l'idea degli investimenti, individuata da Tria, andrebbe accompagnata da un piano strategico concreto del governo, che individui fondi, priorità e progetti.

Alla vigilia di un appuntamento importante come la decisione dell'Unione europea sulla risposta del governo alle osservazioni sul bilancio italiano, il ministro dice «sì, speriamo che il governo possa proseguire il suo lavoro, vediamo». Ma poi precisa: «La situazione a livello internazionale europea non sta tanto bene e mi pare che la governance globale abbia dei problemi. Non è pessimismo, bisogna ricordarsi che oggi stiamo meglio di ieri».

Eppure, almeno per il Mezzogiorno, proprio l'analisi a più mani pubblicata da «Rassegna economica» parla di un'economia sommersa italiana di circa 380 miliardi, che è il 23 per cento del pil. Nel Mezzogiorno, il sommerso vale 112 miliardi di euro che sono il 30 per cento del pil. Farebbero ben sperare le oltre 36600 nuove imprese nel sud, di cui circa 12mila innovative, ma il deficit di infrastrutture e servizi, più volte sottolineato da Tria, diventa un handicap nella competitività. Automotive, agroalimentare, abbigliamento-moda, aeronautico e bio-farmaceutico sono le principali filiere industriali nel Sud. Sono il 45 per cento della produzione, con esportazioni per oltre 21 miliardi di euro in 200 Paesi. Sono le analisi della rivista, ma se i privati si sforzano e c'è «uno sviluppo endogeno», è il contesto infrastrutturale e dei servizi, che spetta allo Stato, a bloccare un vero sviluppo.
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