Il neo salva-Roma salva tutti, ma addio al taglio dell’Irpef

Il neo salva-Roma salva tutti, ma addio al taglio dell’Irpef
di Lorenzo De Cicco
Martedì 11 Giugno 2019, 00:01 - Ultimo agg. 16:19
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ROMA Il patto tra M5S e Lega scaccia dal Campidoglio il rischio crac, ma per i romani le buone notizie finiscono qui: con la trasformazione del Salva-Roma in Salva-tutti, si sgretola il piano del Comune di Roma di ridurre l’addizionale Irpef più alta d’Italia, l’imposta maggiorata dello 0,4% da quasi dieci anni proprio per finanziare il ripianamento dei vecchi debiti dell’Urbe, quelli contratti fino al 2008. La sindaca Virginia Raggi, dopo settimane di attesa per le trattative (spinose) tra stellati e Carroccio, può tirare un sospiro di sollievo: lo spettro della bancarotta sulla Capitale non aleggia più. «Tanto rumore per nulla - ha potuto dichiarare Raggi ieri pomeriggio, appena Lega e 5 Stelle hanno presentato l’emendamento al decreto Crescita sull’Urbe, in Commissione Bilancio alla Camera - Lo avevamo chiesto mesi fa; poi sono arrivate le elezioni e si è persa la ragione. Abbiamo finalmente tagliato gli interessi alle banche. L’importante è che ora Roma e l’Italia avranno 2 miliardi e mezzo di debito in meno». In realtà c’è una differenza sostanziale tra la prima e la seconda versione del provvedimento: ora i risparmi che otterrà lo Stato rinegoziando gli interessi dei mutui di Roma non aiuteranno più la Capitale, ma gli altri comuni in difficoltà finanziarie.

IL VECCHIO «BOND»
La Città eterna si toglie comunque di dosso il fardello di un vecchio bond da 1,4 miliardi, il City of Rome, che col placet dei possessori sarà «accollato» allo Stato, il quale potrà rimodulare di conseguenza la quota di 300 milioni di euro che dal 2010 versa ogni anno al commissario dei conti in rosso di Roma.
Rinegoziando i mutui, lo Stato confida poi di ottenere diversi sconti sugli interessi. Quanto di guadagnato andrà però a rimpolpare, come chiedeva la Lega, un fondo del Viminale «per il debito dei comuni capoluogo delle città metropolitane». Insomma, non per Roma. Città come Catania, a cui il Carroccio teneva. Con questa formulazione sarebbe stata tagliata fuori Alessandria, a guida leghista, che però è rispuntata nelle ultime righe dell’emendamento. Un comma ad hoc, che le destina 20 milioni per due anni, tagliando i fondi per l’industria 4.0. Per le città metropolitane in dissesto (o pre-dissesto), lo Stato poi metterà sul piatto 20 milioni per quest’anno e 35 milioni l’anno dal 2020 al 2033. E i Comuni in crisi con più di 60mila abitanti potranno sforbiciare del 5% gli appalti già aggiudicati (col rischio della rescissione dei contratti, però). Per il viceministro dell’Economia, Laura Castelli (M5S), «ad ogni “malato” serve la giusta cura; da mesi lavoriamo a stretto contatto con i comuni capoluogo delle città metropolitane, alcuni dei quali si trovano in una fase di riequilibrio finanziario. E il nostro lavoro proseguirà in modo certosino».

LA «BEFFA»
Ma è il passaggio sulla Capitale a sollevare la reazione delle opposizioni. Per Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera e deputato di Fdi, «è una “mancia Capitale”. Roma si ritrova dannata e beffata da 5 Stelle e Lega Nord, che archiviano la pratica con un rimborso spese a saldo del debito pregresso ante 2008 e, peggio, vampirizzano le risorse derivanti dall’addizionale Irpef pagata dai romani. Tutto questo sotto il naso della sindaca Raggi che a questo punto, priva della solidarietà di Conte e Di Maio, ha un motivo valido per rassegnare le dimissioni». Critiche anche da sinistra, col deputato di Leu Stefano Fassina, che è anche consigliere in Campidoglio, che parla di «emendamento irricevibile», dal momento che «colpisce la Capitale e sottrae al bilancio di Roma le risorse derivanti dall’addizionale comunale più alta d’Italia, versata dai romani. Lo scippo che si è appena compiuto è una condanna per la Capitale».
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