I ricordi di Valentina Stella:
«In casa con 20 fratelli,
pasta e alette di pollo»

I ricordi di Valentina Stella: «In casa con 20 fratelli, pasta e alette di pollo»
di Maria Chiara Aulisio
Sabato 15 Giugno 2019, 09:59 - Ultimo agg. 17 Giugno, 10:35
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Ventuno figli, lei è la sedicesima, quando il fratello maggiore aveva quasi quaranta anni, i più piccoli stavano nascendo. Duecento nipoti e circa cento pronipoti. Una famiglia enorme dove la regola è sempre stata una sola: arrangiatevi. Immacolata Iorio, per tutti Valentina Stella, grande interprete della canzone classica napoletana, il conto lo ha perso da tempo e - quando parla dei parenti - il discorso si fa complicato.

Ventuno figli sono tanti.
«So' assai. Tengo fratelli e sorelle sparsi per tutto il mondo. Non mi chiedete dove sono perché stare appresso a tutti non è possibile ma ci vogliamo bene lo stesso».

Come si cresce con tanti fratelli?
«In una famiglia di ventitrè persone non puoi contare sul sostegno di nessuno: ognuno deve pensare prima a se stesso, e poi a quelli che vengono dopo di lui».

Ai più piccoli, insomma.
«I grandi si devono crescere i piccoli, altrimenti come si fa? Non è che mia madre poteva imboccare una quindicina di noi, non ce l'avrebbe mai fatta. Stessa storia per cucinare, lavare, fare i letti...».

Vita dura.
«Non è stato facile: di soldi ce ne stavano pochi e le spese erano assai. Abbiamo vissuto tra mille difficoltà ma una mano ce la siamo sempre data, il nostro senso di appartenenza è fortissimo».

Ancora uniti?
«È come se fossimo legati da un filo invisibile anche se viviamo a migliaia di chilometri di distanza uno dall'altro. Il mio primo fratello ha più di settant'anni, l'ho rivisto a Milano qualche tempo fa, mi è bastato guardarlo un attimo per ripercorrere tutta la vita vissuta insieme».

 

Che lavoro facevano i suoi genitori?
«Mio padre era il principe della posteggia, l'arte di rallegrare con la musica e la canzone i momenti più belli della vita: dal fidanzamento, al matrimonio, ai banchetti. Era fortissimo, pur di stargli dietro decisi anche io di fare la cantante».

E sua madre?
«Si chiamava Anna, per tutti era Nannì, teneva a banca e l'acqua a piazza Francese, il chiosco, dove vendeva le bibite e faceva le aranciate e le limonate. Quando si fidanzò con mio padre aveva 17 anni, lui invece trentanove, e quattordici figli che aveva avuto dalla prima moglie. L'ultimo di nove mesi».

Divorziato?
«No, vedovo. La moglie, poverina, morì a 36 anni. Dopo qualche mese papà si mise con mia madre che conosceva da quando era piccola, ebbero altri sette figli tra cui me. Mia nonna era la migliore amica della sua ex moglie: quando nacque mammà, mio padre la tenne in braccio al battesimo».

Una grande famiglia, insomma.
«Nostra madre è stata una sorella, e una mamma, per tutti. Ci amava in modo uguale, figli o non figli, facendo credere a ciascuno di essere il preferito. Non sapeva nè leggere e nè scrivere, ma vi assicuro che ci ha insegnato molto più di quanto avremmo imparato a scuola».

A proposito di scuola.
«Ma quale scuola? Bisognava andare a lavorare, i miei fratelli man mano che crescevano dovevano trovare una occupazione e contribuire a mandare avanti la famiglia».

Dove abitavate?
«A via Foria».

Casa grande?
«Neanche tanto».

Ventuno letti da piazzare, mica pochi.
«Avevamo due grandi stanze, una per le femmine e l'altra per i maschi. Anche se poi ogni tanto qualcuno si sposava e se ne andava. Per non sentirci soli i miei genitori adottarono pure altri due ragazzi».

Ventuno più due?
«Stavano sempre a casa nostra, non tenevano a nessuno. Disse mammà dove mangiano ventuno mangiano pure ventitrè, così vennero a vivere da noi».

Che cosa si mangiava in casa Iorio?
«Alette di pollo e maccheroni a murì. Il pesce non potevamo permettercelo e manco le bistecche. Ma andava bene così, l'importante era riempire la pancia».

Quando ha cominciato a cantare?
«Avevo otto anni, mi esibì per la prima volta al teatro Diana con i fratelli Gallo. E poi, un po' più grande, cominciai a fare la posteggia co' papà. Le mie preferite erano le canzoni maschili, quelle di Carlo Buti, e poi ero pazza di Angela Luce, Giulietta Sacco, Mirna Doris, il pubblico mi paragonava a Elvira Donnarumma, Gilda Mignonette, Ria Rosa... Proprio durante una di quelle serate, al ristorante Leon d'Oro, nel 1982, fui scoperta da Pier Francesco Pingitore che mi portò a Roma per far parte della Compagnia del Bagaglino».

Bei ricordi.
«Diventai protagonista di spettacoli di successo come Biberon, Creme Caramel, Saluti e Baci solo per citarne alcuni».

Poi però decise di tornare a Napoli.
«Sì, avevo voglia della mia città, volevo continuare nella mia terra la carriera di cantante».
Al suo attivo anche diverse interpretazioni teatrali.
«Non solo. Ho lavorato pure in diversi musical come Novecento Napoletano al fianco di Marisa Laurito, successo strepitoso anche in Argentina, Stati Uniti e Giappone. E poi Lacrime napoletane con Geppy Gleijeses, e Il Miracolo di Don Ciccillo con Carlo Buccirosso».

Il cinema?
«Esperienza fantastica. Ricordo ancora quando mi chiesero di cantare Passione eterna nel film Benvenuti al Sud nel 2010 e poi la colonna sonora del film Il Principe abusivo alla quale partecipai con il brano Indifferentemente».

Ma è vero che lo scrittore Domenico Rea si innamorò di lei?
«Questo non lo so. Però so ciò che scrisse di me: La bruna voce di Valentina Stella che ricorda in una maniera impressionante quella di Gilda Mignonette e che è la vera scoperta di questo Novecento, è capace di immergersi nel mondo plebeo con un senso di vittoria. La sua è una voce, in dialetto si direbbe abbrucata, cupa, malinconica e capace di violenza e redenzione. Essa porta tutto il peso delle angherie che subì per secoli la gente dei bassi».
 
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