L'industria lascia il Sud: Ilva sul binario morto, Jabil conferma i licenziamenti

L'industria lascia il Sud: Ilva sul binario morto, Jabil conferma i licenziamenti
di Francesco Pacifico
Venerdì 28 Giugno 2019, 07:00 - Ultimo agg. 09:26
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Dal loro osservatorio privilegiato - il ministero dello Sviluppo - Luigi Di Maio e il governo vedono sempre più acuirsi la crisi industriale nel Mezzogiorno. Ieri in via Veneto - durante un tavolo tra le parti - la multinazionale Jabil ha confermato al governo la volontà di licenziare 350 lavoratori su 706 nello stabilimento di Marcianise, nonostante l'esecutivo e i sindacati le avessero chiesto di sospenderli. Ma soprattutto diventa sempre più drammatica la situazione all'Ilva di Taranto, dopo che l'Ad per le attività europee Geert van Poelvoorde ha annunciato che Arcelor Mittal è pronta a chiudere l'acciaieria, poiché nel decreto Crescita ieri approvato in via definitiva in Senato l'esecutivo ha cancellato la manleva giudiziaria ai nuovi vertici in relazione ad azioni commesse dagli ex amministratori.
 
In quest'ottica ieri non ha avuto esito l'incontro, sempre al Mise, tra governo, sindacati, enti locali e la Jabil, multinazionale della componentistica elettronica. L'amministratore delegato in Italia, Clemente Cillo, è stato fermo nel confermare i licenziamenti, che scatteranno a luglio, dicendosi pronto a studiare alternative soltanto dopo il loro avvio. Parole che hanno scatenato le ire del vicecapo di gabinetto Giorgio Sorial («Rivedete urgentemente le vostre decisioni»), dei confederali («Ne pagherete le responsabilità), dell'assessore regionale al Lavoro, Sonia Palmeri («Come vi sentite a mettere per strada 350 persone, fateci parlare con chi conta, con i manager americani), del sindaco di Marcianise, Antonello Velardi, che ha scandito: «Non possiamo subire l'ennesima operazione di macelleria sociale».

Il manager si è giustificato spiegando che da un anno a questa parte - anche impegnando 50 milioni di euro per gli incentivi - l'azienda ha provato a ricollocare le maestranze in eccesso in aziende della zona. Ma che su «720 posti trovati», soltanto 100 dipendenti hanno accettato il trasferimento. «C'è qualcosa che non torna, se la gente è disperata eppoi rifiuta occupazioni dove vengono garantiti stipendio, anzianità e un'indennità di trasferta». Forte di questo, ha annunciato che è congelata ogni forma di incentivazione alle uscite volontarie, visto che lo stabilimento campano - che registra perdite intorno ai 20 milioni di euro - è ormai insostenibile. Cillo, però, ha anche ammesso che alcuni clienti come Pirelli, Technogym o Sirti hanno aumentato le commesse, a fronte di quattro grandi contratti persi. Per la cronaca, 250 dipendenti dello stabilimento che volevano organizzare ieri un presidio sotto il ministero, sono stati bloccati nella vicina piazza della Repubblica, perché davanti a via Molise erano in corso altre manifestazioni.

Intanto, il prossimo 9 luglio il Mise ha convocato i vertici di ArcelorMittal, una settimana prima sarà tenuto uno sciopero generale a Taranto. Di Maio - anche in relazione alla decisione della multinazionale di mettere in cassa integrazione 1.395 dipendenti - continua a parlare di «ricatto». Ma il ministro dello Sviluppo si trova sempre più isolato. Ieri l'altro vicepremier, Matteo Salvini, gli ha mandato a dire: «Ci sono battaglie come quelle su Ilva e Alitalia in cui i nodi vengono al pettine nelle prossime settimane. E ho detto all'amico Luigi Di Maio che non si possono mettere in discussione 25mila posti di lavoro».

Non meno duri con il leader pentastellato e la stessa ArcelorMittal i sindacati confederali. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha scandito: «Il governo non scarichi le responsabilità di ciò che non ha fatto in passato sul nuovo gruppo. ArcelorMittal la smetta con le minacce e i ricatti». Stessa linea dalla sua omologa della Cisl, Anna Maria Furlan: «Non c'è più senso di responsabilità da entrambe le parti». Dalla Uil Carmelo Barbagallo, pur convinto che «le multinazionali scorrazzano nel nostro Paese», sottolinea che «il governo gli ha dato tutte le scuse plausibili» per andare via.

A tutti, Salvini in primis, il vicepremier grillino ha replicato che «le crisi aziendali si affrontano con trattative serrate, non con un tweet o con un'affermazione nel suo salotto e mi dispiace che ci sia stata un'interferenza su questa trattativa». Ma Di Maio, ieri, ha alzato un polverone anche parlando di Atlantia come di una realtà «decotta» e di Alitalia: «Se abbiamo detto a Genova che revocavamo le concessioni autostradali, il giorno in cui, come governo, in maniera coerente lo faremo, quell'azienda avrà delle difficolta, perderà valore in Borsa. Se li mettiamo dentro Alitalia, faranno perdere valore anche ad Alitalia, faranno precipitare agli aerei». Confindustria si è detta «stupita» per quest'uscita, l'azienda minaccia querele.
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