Arco Borbonico e Colonna Spezzata, ecco come muoiono gli ultimi ricordi dei “Luciani” del Re

L'antico molo borbonico a un passo dal crollo
L'antico molo borbonico a un passo dal crollo
di Antonio Folle
Martedì 2 Luglio 2019, 12:03 - Ultimo agg. 12:16
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Pochissimi napoletani sanno che nel tratto di costa pomposamente ribattezzato “lungomare liberato” fino a un centinaio di anni fa avrebbero potuto fare il bagno su una bellissima – e lunghissima – spiaggia. La colmata di fine ottocento e la successiva speculazione edilizia hanno cancellato definitivamente le tracce della spiaggia che accarezzava la città. Solo due antiche vestigia del passato testimoniano l’antico waterfront napoletano: l’arco borbonico, antico approdo per piccole imbarcazioni da pesca, e la “Colonna Spezzata”, eretta nella seconda metà dell’ottocento per ricordare i caduti del mare. Quando il monumento fu eretto il Regno dei Borbone era già finito da circa un decennio, caduto sotto i colpi dei Savoia. Santa Lucia, per come la conoscevano i napoletani dell’epoca, sarebbe morta con il famigerato “risanamento”, una trentina di anni dopo. 
 

 


Fino alla fine del diciannovesimo secolo nella zona dove ora sgomitano ristoranti, ristorantini e locali notturni, i napoletani avrebbero potuto vedere aggirarsi i celeberrimi “Luciani”, gli abitanti dell’antico borgo di Santa Lucia, favoriti dei monarchi della dinastia Borbone. Era proprio ai Luciani – come marinai di fiducia – che i re napoletani si affidavano per le loro “scorribande” a bordo di imbarcazioni che solcavano il golfo partenopeo. Si narra che Ferdinando I, universamente conosciuto col nomignolo – affettuoso tra i napoletani, dispregiativo tra gli altri – di “Re nasone”, fosse solito travestirsi da pescatore e ingaggiare con i marinai di Santa Lucia furiose gare di vogata a bordo delle “varchetelle” da pesca. Il poeta Ferdinando Russo nel suo “’o Luciano do Rre” ha immortalato la figura di Luigi, il vecchio venditore di ostriche di Santa Lucia che era stato al servizio di suo nipote Ferdinando II e che ricordava con nostalgia l’antico borgo marinaro.
 


Oggi quelle antiche vestigia del passato, che probabilmente in altre città del mondo riceverebbero ben altra considerazione, giacciono scandalosamente abbandonate al loro desolante destino. L’arco borbonico – che dopo la sua vocazione “marinaresca” fu convertito a canale di sfogo per le fognature, al punto di essere ribattezzato “chiavicone” dai napoletani – è ormai a un passo dal crollo. La potente mareggiata dell’ottobre 2018 ha spazzato via quasi del tutto il basamento di pietra e oggi l’arco, dal peso di diverse tonnellate, poggia su un singolo masso, aggrappato a pochi centimetri di roccia. Quei pochi centimetri che preservano la storia della città rischiano di essere strappati via dalle prossime mareggiate che arriveranno puntuali con l’inverno. Nell’indifferenza pressochè generale. A gennaio la delegata al mare del Comune di Napoli Daniela Villani aveva promesso un intervento di riqualificazione – finanziato con fondi della Città Metropolitana – ma, ad oggi, nessun operaio è intervenuto per un salvataggio richiesto a gran voce dai residenti della zona.

A pochissimi metri dall’antico approdo borbonico il monumento ai caduti del mare eretto nel 1867 – il basamento, la colonna monumentale sarebbe stata aggiunta diversi decenni dopo – necessiterebbe di corposi interventi nella parte che conduce alla caletta utilizzata dai napoletani per fare il bagno nei mesi estivi.
Le scale, dopo una mareggiata risalente addirittura al 2014, sono in teoria interdette al pubblico a causa del rischio legato alla caduta di massi. Il divieto viene puntualmente eluso e così ogni giorno, nei mesi caldi, centinaia di napoletani rischiano la vita andando alla ricerca di refrigerio. Anche in questi giorni, nonostante i vistosi cartelli che impongono il divieto d’accesso, i napoletani stanno prendendo d’assalto quel braccio di mare pericolante.

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