Napoli, addio al «professore» De Crescenzo: sabato l'ultimo saluto a Santa Chiara

Napoli, addio al «professore» De Crescenzo: sabato l'ultimo saluto a Santa Chiara
di Titta Fiore
Giovedì 18 Luglio 2019, 23:02 - Ultimo agg. 19 Luglio, 06:55
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Restare «normale» era quasi un esercizio di disciplina filosofica per l’ingegnere filosofo e scrittore morto ieri al Policlinico Gemelli di Roma a 90 anni per le complicanze di una brutta polmonite. Anche se il suo viaggio non ha avuto niente di «normale».
 


Anche se la sua avventura umana e artistica è stata in tutti i sensi straordinaria. L’ironia bonaria da intellettuale della Magna Grecia, il rigore dello studioso frequentatore di algoritmi, Luciano De Crescenzo ha avuto il talento e il privilegio di vivere più vite. È stato ingegnere idraulico e divulgatore popolarissimo, fine umorista e uomo di cinema e tv, autore di best seller e attore-regista, ragionatore implacabile di efficaci aforismi e appassionato analista dei sentimenti. È diventato cittadino del mondo restando sempre e profondamente napoletano.
 
 

«Da bambino» scriveva, «ho passato la maggior parte del tempo a giocare sul balcone della camera dei miei genitori. Abitavo sul lungomare e, mentre giocavo, vedevo il golfo di Napoli con i suoi ingredienti più scontati: le barche, i pescatori, il sole, il mare, il Vesuvio, Capri, Sorrento e Posillipo. Oggi ho imparato che queste cose non bisogna nemmeno nominarle, perché sono tutte folcloristiche, ma a quei tempi, quando non sentivo ancora il bisogno di essere originale, mi piacevano moltissimo e restavo ore e ore a guardarle come si può guardare il fuoco di un camino». Sono stato fortunato, come aveva voluto intitolare l’autobiografia scritta sul crinale dei novant’anni per Mondadori, diventa per questi rivoli una consolazione e un mantra: «Dicono gli astrologi che il carattere di un individuo è influenzato dalla posizione che hanno gli astri nel giorno della sua nascita; sarà pure, rispondo io, ma poi aggiungo: e le canzoni, e il clima, e il mare, e gli zii, che sono tanto più vicini ai nostri sensi, può essere che non contino nulla?».

 

Contano, contano, e lo sapeva bene Luciano, nato a Santa Lucia nello stesso palazzo di Carlo Pedersoli, il ragazzone sportivo e biondo che gli fu subito amico e da grande sarebbe diventato Bud Spencer. Famiglia borghese, casa piena di gente, una sorella maggiore, Clara, mamma e papà sposati grazie ai buoni uffici di «‘‘onna Amalia ‘a Purpessa», giunonica sensuale di matrimoni che non avrebbe sfigurato in un film di Fellini. Intorno, una città eduardiana vissuta e ricordata con il tenero disincanto del narratore navigato: le zie zitelle, le prime automobili, i giochi infantili e poi la crudeltà della guerra, la rocambolesca fuga a Cassino («papà, senza saperlo, ci aveva procurato alcune poltrone di prima fila per assistere a una delle più tremende battaglie della Seconda Guerra mondiale), il ritorno a casa e il liceo Sannazaro, i primi amori («mi sono innamorato quattro volte nella vita») e le prime delusioni, il matrimonio con Gilda finito dopo pochi anni e la nascita dell’amatissima figlia Paola, l’amicizia più resistente di ogni amore e l’incontro con Renzo Arbore, con il quale si ritrovò, non volendo, a frequentare la stessa ragazza: lasciata prontamente, dopo un imbarazzante «pedinamento» a Sorrento, dai due innamorati campioni di goliardia. 

«Aveva il dono di trovare sempre una prospettiva originale nell’osservare ogni cosa» dice Marisa Laurito, che gli è stata accanto con Renzo fino all’ultimo. Dal loro sodalizio sono nate serate memorabili e spettacoli che hanno rivoluzionato la storia della televisione. Dall’osservazione del mondo che gli girava intorno l’ingegner De Crescenzo, manager della Ibm ed esperto in informatica, trasse l’ispirazione per un libro che avrebbe rivoluzionato la sua vita. Così parlò Bellavista, ovvero il racconto di una speciale agorà tutta partenopea formata dal professore di filosofia in pensione Gennaro Bellavista che divide l’umanità in due tipi di persone, uomini d’amore e uomini di libertà, e dai suoi scombiccherati discepoli, divenne subito un caso editoriale. Se ne accorse Maurizio Costanzo, che trasformò il nuovo scrittore in opinionista di «Bontà loro»: la complicità con il conduttore e il crescente successo delle qualità di narratore di De Crescenzo portarono il libro a vendere oltre seicentomila copie. Un record che convinse l’antico allievo del geniale matematico Renato Caccioppoli a strappare il contratto con l’Ibm e a buttarsi a capofitto nella nuova avventura. 

Il resto è storia nota. Da subito, alla vocazione di narratore ha affiancato quella di divulgatore inanellando successo su successi. I suoi libri, da Storia della filosofia greca a Oi Dialogoi, in tutto una quarantina, sono stati tradotti in 21 lingue e venduti in oltre 18 milioni di copie nel mondo. «La filosofia», diceva, «non è difficile, basta scriverne in maniera chiara, quieta, piano piano». Piano piano, De Crescenzo ha saputo conquistare platee di lettori sempre più vaste, dalla Germania al Giappone, e per la sua opera sui pensatori greci è diventato cittadino onorario di Atene. Snobbato da certa critica paludata, è entrato semplicemente nel cuore del pubblico di ogni età. Con Non parlare, baciami, tre anni fa, aveva trovato una via per parlare ai ragazzi di amore e filosofia condividendo le frasi del volume sui social e trasformandole in altrettanti hashtag. «I giovani lo adoravano», ricorda commosso Enzo D’Elia, agente letterario e amico di vecchia e affettuosa data, «amavano la sua ironia illuminata, la sua eleganza e spesso gli confidavano di aver scoperto il fascino del pensiero filosofico grazie ai suoi libri». Quando scrisse Gesù è nato a Napoli, volle portarne una copia in dono a Papa Francesco. Gli confessò, facendolo ridere: «Mi piacciono le donne, Santità, anche se non mi ricordo perché». Ironico, divertente, lieve come sempre.

Amava il cinema, De Crescenzo, e conservava come una reliquia il messaggio di lodi che Fellini gli aveva lasciato un giorno sulla segreteria telefonica. Per «Così parlò Bellavista» diventò anche regista, nel 1984, è l’anno dopo fece il bis con «Il mistero di Bellavista», seguito da «32 dicembre» e da «Croce e delizia». Per Arbore s’invento’ attore nel «Pap’occhio» e in «FF.SS Che mi hai portato a fare sopra a Posillipo...», per Lina Wertmuller affiancò la divina Sophia Loren in «Sabato, domenica d lunedì». In tv era un divo, per il pubblico un amico sapiente di zingarate fanciullesche. Viveva a Roma, in una casa luminosa foderata di libri e tappezzata con le copertine dei suoi libri pubblicati nel mondo. Ma non dimenticava Napoli, dove aveva sempre voglia di tornare. Nell’ultima intervista a «Il Mattino», pochi mesi fa, all’indomani dell’attentato alla pizzeria Sorbillo, bollava i criminali «come l’ennesimo esercito invasore». Tuttavia, concludeva, «la nostra città resta a mio avviso l’unica speranza che ha l’umanità per sopravvivere». E a Napoli tornerà, domani mattina alle 10,30 nella chiesa di Santa Chiara, dopo l’omaggio di oggi in Campidoglio, per un ultimo abbraccio d’amore.

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