Bassolino e l'addio a De Crescenzo: «Gli anni Ottanta formidabili ma bui»

Bassolino e l'addio a De Crescenzo: «Gli anni Ottanta formidabili ma bui»
di Generoso Picone
Sabato 20 Luglio 2019, 16:01 - Ultimo agg. 16:18
4 Minuti di Lettura
Antonio Bassolino estrae dall'album della memoria la cartolina che forse meglio di ogni altra può rappresentare il paradigma delle qualità umane di Luciano De Crescenzo. «Era il Capodanno del 1994, io ero sindaco da un anno e si era da poco concluso il G7 che aveva consegnato al mondo una diversa immagine di Napoli, liberando tra l'altro dalle auto Piazza Plebiscito restituita nella sua straordinaria bellezza», ricorda: «Mi venne in mente di festeggiarlo proprio lì e quando comunicai questa mia intenzione a Palazzo San Giacomo constatai lo scetticismo di tanti. Non si è mai fatto, mi risposero. Io ero convinto invece che Napoli sarebbe stata la prima grande città italiana a cimentarsi con successo in una un'iniziativa del genere. Il Comune era in dissesto e il palco, semplice e in legno, fu montato davanti Palazzo Salerno. Per lo spettacolo ebbi un'idea. Avevo saputo che a Napoli erano in albergo Luciano De Crescenzo e Marisa Laurito: li invitai a partecipare. Accettarono e Luciano mi incoraggiò con entusiasmo. La serata ebbe un effetto straordinario, l'esperienza fu indimenticabile, un capodanno povero e bellissimo. Luciano era felice come un bambino. Ecco, anche grazie a lui avevo battuto lo stereotipo del non si può fare, del cosiddetto nonsipuotismo che bloccava Napoli».

Bassolino deve aver pensato e ripensato a quella festa di 25 anni fa chissà quante volte, registrando in ogni luogo di Napoli le manifestazioni di affetto per la scomparsa di De Crescenzo, nel sentimento diffuso della città considerato davvero uno di famiglia. «L'ingegnere allievo di Caccioppoli diventato divulgatore della filosofia con leggerezza semplice. Un magnifico esempio del carattere napoletano, di simpatia, creatività, bonomia e signorilità», spiega.
 

Tanto amato e intensamente rimpianto nel momento della sua scomparsa perché oggi queste doti non ci sono più? La scomparsa dell'ingegnere filosofo sembra aver (ri)acceso una nostalgia per la Napoli anni 70/'80.
«Luciano ha rappresentato un volto di Napoli, con tutte le doti positive tipiche dell'essere napoletano e per giunta un napoletano di grande ribalta pubblica ma comunque sempre e autenticamente popolare. Mi torna in mente l'episodio del Capodanno 1994 perché rende precisamente l'atmosfera di quel periodo. De Crescenzo è stato un simbolo degli anni '80, di un decennio drammatico e importante che si aprì con il terremoto del 23 novembre 1980. Allora, da quella tremenda domenica, cambiò tutto».

Gli anni 80 furono segnati dal piombo della camorra e del terrorismo politico. Dagli assassinii di Pino Amato e Antonio Ammaturo, dal sequestro di Ciro Cirillo con la trattativa per liberarlo al maxiblitz del 17 giugno 1983 e all'eccidio di Giancarlo Siani, per citare soltanto alcuni avvenimenti.
«Certo. La camorra compie il salto di qualità e diventa imprenditrice, stringe un patto criminale con il terrorismo delle Br e si propone come potere destabilizzante ed eversivo. D'altra parte, il versante politico evidenzia cedimenti e limiti e Napoli, con l'intera Italia, entra in un tunnel. Ma in questi stessi anni succede pure altro».

Cioè?
«Come dimenticare che, dopo il libro di Bellavista del 1977, compare un altro personaggio dalle fine ironia come Massimo Troisi con Ricomincio da tre del 1981? Come non sottolineare la straordinaria innovazione di Pino Daniele che contamina tradizione e modernità, Napoli e il mondo, per altro protagonista del concerto dei duecentomila a Piazza Plebiscito il 19 settembre 1981? Come non considerare le struggenti mostre a Capodimonte sul Seicento e sul Settecento napoletani e l'attività intelligente di Lucio Amelio che porta in città i maggiori esponenti dell'arte contemporanea, Beuys e Warhol? Come non sottolineare l'impegno di Martone, Servillo e Neiwiller che nel 1986 fanno nascere Teatri Uniti? E in questo sommario elenco trova posto pure il cinema e la letteratura: è del 1986 L'armonia perduta di La Capria e nel 1989 esordisce Erri De Luca con Non ora, non qui».

Insomma, in una Napoli oscillante tra la più cruda cronaca di camorra e terrorismo e la gioia sfrenata e liberatoria per gli scudetti del Napoli c'è anche una città che ripensa se stessa e si esprime nelle forme dell'arte?
«Non condividerei mai una lettura tutta negativa degli anni '80, attraversati al contrario da una positiva contraddittorietà. C'era una Napoli che reagiva a colpi di durezza eccezionale attraverso gli strumenti e le possibilità offerte dalla cultura. Una cultura intesa come importante risorsa civile, non soltanto dalla cifra identitaria ma pure in grado di produrre sviluppo».

Oggi, invece?
«La situazione di oggi non è confrontabile con quella degli anni '80. Però Napoli resta una città che continua a esprimere artisti a livello nazionale e internazionale, penso a Elena Ferrante, e che è ancora in grado di lanciare la sua sfida. Ma a una condizione».

Quale?
«Premesso che occorre avere sempre maggiore cura e attenzione quotidiana per le condizioni della città, sono convinto che si possa coniugare la grande capacità creativa di Napoli con progetti di trasformazione economica che producano cambiamento sociale. La lunga e millenaria storia di Napoli ci dice che questa città ha dato e dà il meglio di sé quando si apre al mondo e viceversa offre il peggio quando si chiude provincialisticamente in se stessa. Ogni forza politica che governa o aspira a governare, a livello locale e nazionale, deve averne consapevolezza e intrecciare l'apertura e la cultura con programmi di trasformazione e sviluppo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA