Abi, il monito di Patuelli al Sud:
«Pieno di banche ma non investe»

Abi, il monito di Patuelli al Sud: «Pieno di banche ma non investe»
di Nando Santonastaso
Giovedì 1 Agosto 2019, 08:42 - Ultimo agg. 15:24
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«Una banca degli investimenti per sostenere il rilancio del Mezzogiorno? «Per la verità sono anni che ne sento parlare», riflette Antonio Patuelli, presidente dell'Abi, l'Associazione tra le banche italiane. E aggiunge: «Io ricordo che il prossimo 4 novembre festeggeremo i 5 anni dalla nascita della vigilanza unica europea sulle banche e che le autorizzazioni alla nascita di nuove banche le dà solo Francoforte. Dal momento però che viviamo in un'Europa dalla sfrenata concorrenza bancaria, ognuno è libero di produrre le iniziative economiche che più ritiene opportune. Ma attenzione: l'attività bancaria non si improvvisa: quindi, se la Repubblica vuole intraprendere nuove iniziative la responsabilità è tutta sua e dovrà svilupparla con le medesime regole introdotte dalle varie Basilea succedutesi in questi anni, nonché nel rispetto di quelle in vigore con l'Unione bancaria e con la stessa Ue».

 

Non crede che sia comunque utile garantire più risorse a chi vuole investire soprattutto nel Sud?
«Guardi, le banche non frenano nella concessione di mutui e prestiti a imprese e famiglie, al Nord o al Sud dell'Italia. Se il cavallo bevesse, i tassi del denaro non sarebbero così infimi. In altre parole, c'è un'abbondanza di liquidità enorme, con una concorrenza sfrenata tra le banche per chi ha merito di credito. Il cavallo non beve perché il Paese ha perso da tempo fiducia in sé stesso. Basti considerare il numero dei giovani che sperano di andare a lavorare all'estero. Io temo che l'Italia sia ancora come il Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi che torna a Milano e non vedendo nessuno e soprattutto la sua Lucia pensa che la peste abbia ucciso tutti: e invece è viva, come sappiamo. La peste era finita».
Ma i dati di ieri, a parte qualche incoraggiante segnale sull'occupazione, dimostrano ancora una volta che il Paese è fermo.
«Che la ripresa del 2018 non sia stata sufficiente è fuori di dubbio. Né si può negare che sono cambiati scenari importanti, come la tensione tra Ue e Usa per la prima volta dalla fine della Prima guerra mondiale. E chi pensava che la panacea dei mali europei fosse l'uscita dall'Ue si è dovuto ricredere alla luce delle difficoltà di attuare la Brexit. Per non parlare dell'esasperazione dei conflitti interni e tra Stati in materia ad esempio di immigrazione che hanno caricato di incognite e di tensioni il voto europeo. Anche in Italia si è avuta la sensazione che rapporti come quelli atlantici potessero traballare».
Quindi incertezze più sfiducia uguale tempesta perfetta?
«Esattamente. L'ho detto anche nella recente audizione a Palazzo Chigi in vista della legge di Bilancio: con un debito italiano così elevato, che produce allarmismi ormai ciclici, il primo obiettivo è recuperare la fiducia di imprese e famiglie. Se chi ha soldi li investe in Italia, il cavallo riprende a bere».
Ma non c'è il rischio di isolamento dell'Italia in Europa e di un ulteriore impoverimento del Mezzogiorno?
«Nel Mezzogiorno c'è la stessa forte concorrenza nel favorire i prestiti che esiste nel Centronord. Non c'è una divisione ottocentesca dell'Italia. Il punto è che dobbiamo avere una mentalità che non veda il Sud Italia come la periferia d'Europa. La Tav non è alternativa alla Napoli-Bari o all'auspicata alta velocità Salerno-Villa San Giovanni: i grandi assi di comunicazione servono a tutto il Paese e al Mezzogiorno specie in chiave turistica. Connettere l'Italia al resto dell'Europa è un obiettivo irrinunciabile».
Che legge di Bilancio serve veramente oggi all'Italia?
«Lascio alla politica le scelte che le competono. Posso solo dire che per rilanciare l'edilizia, settore sempre strategico per il Paese, occorre ridurre la pressione fiscale che attanaglia il mattone dall'epoca della crisi del debito sovrano. E mi auguro che il rilancio degli investimenti, altro obiettivo primario, possa essere favorito dalla riduzione del cuneo fiscale su cui tutte le parti sociali, dalle imprese ai sindacati, sono d'accordo. Dopo una legge di Bilancio improntata soprattutto alle garanzie sociali, ma con costi a consuntivo molto inferiori rispetto a quanto preventivato, credo che sia ora necessario puntare sui fattori di ripresa dello sviluppo. Perché è qui che si ricostruisce la fiducia di imprese e famiglie».
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