«Io, miracolato del Ponte Morandi
ma oggi non ho più un lavoro»

«Io, miracolato del Ponte Morandi ma oggi non ho più un lavoro»
di Valentino Di Giacomo
Venerdì 9 Agosto 2019, 08:18 - Ultimo agg. 10 Agosto, 16:52
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«Sto partendo per le vacanze, chiedo scusa ai parenti delle vittime, ma io proprio non ce la faccio a partecipare alla commemorazione organizzata per l'anniversario del crollo, rivivere un'altra volta le scene dello scorso anno mi farebbe troppo male». Gianluca Ardini, 30 anni, è uno dei sopravvissuti al crollo del Ponte Morandi lo scorso 14 agosto. Il ragazzo genovese si è salvato per miracolo, ma anche grazie ad una strenua forza di volontà che gli ha consentito di restare aggrappato a dei fili per quattro ora prima che arrivassero i soccorsi. Una forza che probabilmente derivava anche dal bimbo nato appena un mese dopo alla tragedia e che Gianluca ha rischiato di non poter conoscere. Quel giorno era nel furgone con il suo collega Luigi, entrambi lavoravano per Mondo Convenienza, ma il suo amico è morto sul colpo e Gianluca è rimasto per ore con il cadavere di Luigi di fianco.

 

Quali segni le ha lasciato quell'esperienza?
«Ho problemi fisici, soprattutto un danno permanente al braccio e all'occhio sinistro. Sono problemi gravi, ma non quanto le conseguenze psicologiche che mi ha lasciato quella giornata. Ancora oggi ho crisi di panico e il terrore di prendere l'autostrada. Per questo, oltre alla fisioterapia, sto svolgendo un percorso di recupero psicologico anche con incontri collettivi e prendo dei farmaci per restare calmo. Tante volte mi ritornano alla mente soprattutto le immagini del mio amico che era con me nel furgone, sono scene indimenticabili».
Ha ripreso a lavorare?
«No, ormai non posso più svolgere il lavoro che facevo prima dopo i danni subiti, non posso svolgere compiti manuali come sollevare pesi, quella che era la mia mansione principale. Al momento percepisco un'indennità dall'Inail che però si riduce progressivamente, non sono mai riuscito a prendere quanto il mio stipendio originario. Quando l'Inail smetterà di darmi assistenza dovrò cercarmi un lavoro, ma ovviamente non potrà essere come quello di prima, spero mi aiuteranno».
Oggi come vive?
«C'è mia moglie che lavora nel negozio di famiglia e riusciamo così a sbarcare il lunario. Ma ci sono le spese per il nostro bimbo che compirà un anno il prossimo 13 settembre, un mese dopo la tragedia».
È lui che le ha dato la forza per resistere?
«Pietro, così lo abbiamo chiamato, è stato certamente uno stimolo per non lasciare quei fili a cui sono rimasto aggrappato per ore».
Ricorda tutto di quegli attimi?
«È la mia condanna, ma anche la mia fortuna. Se non fossi rimasto vigile sarei certamente morto, ma ricordare tutti quegli attimi fa male: il crollo del ponte, un volo di almeno 30 metri, vedere il mio collega morire di fianco a me, quelle ore interminabili in cui è letteralmente un filo a separare la vita dalla tua morte. Ricordo che urlavo e chiedevo aiuto, per fortuna i vigili del fuoco sono riusciti a sentirmi e mi hanno recuperato. Un'operazione complessa perché una mossa sbagliata avrebbe potuto farmi piombare giù».
Ha ricevuto aiuti durante questo anno?
«Si, il comune di Genova, dove vivo, ci è stato vicino e mi è stata assegnata una piccola cifra anche grazie alla solidarietà dei tanti italiani che hanno fatto beneficenza per aiutare vittime, sfollati e superstiti che come me hanno subito danni».
Immagino ci sia anche una causa in corso nei confronti di Autostrade.
«Si, la sta seguendo il mio avvocato Matteo Gamenara, ma finché non terminerò la riabilitazione è impossibile quantificare i danni che ho subito. Ora voglio solo godermi il mio Pietro e la mia compagna di vita. Questa esperienza mi ha fatto capire che basta un nulla per portarti via da questo mondo, ora riesco ad assaporare ogni attimo della mia esistenza, anche le cose che sembrano più banali. Oggi in ogni sorriso di mio figlio, per ogni volta che con la sua manina mi afferra un dito conosco il significato profondo e il valore che significa perché tutto questo avrei potuto non vederlo».
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