Governo M5S-Pd, primi veti su nomi e programmi: ipotesi Cantone o Flick

Governo M5S-Pd, primi veti su nomi e programmi: ipotesi Cantone o Flick
Governo M5S-Pd, primi veti su nomi e programmi: ipotesi Cantone o Flick
di Alberto Gentili
Giovedì 15 Agosto 2019, 09:50 - Ultimo agg. 16 Agosto, 10:09
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Matteo Salvini, improvvisamente, appare fuori dai giochi. Dopo aver tentato quella che Luigi Di Maio chiama «la mossa disperata» di mantenere in vita per un altro anno il governo giallo-verde rilanciando la riforma con il taglio dei parlamentari, il Movimento sembra deciso a voltargli «definitivamente le spalle»: «Salvini ha intonato il Ricominciamo di Pappalardo ma solo perché ha capito di aver perso il governo, la poltrona e anche la possibilità di andare a elezioni. E noi non gli lanciamo di certo da ciambella di salvataggio», ha confidato Di Maio ai suoi.

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Eppure, la strada per il governo di legislatura («se dura poco facciamo un regalo a Salvini») e di coalizione tra 5Stelle, Pd, +Europa, Leu e centristi vari è ancora in salita. I 5Stelle, a meno di un accordo giudicato ancora «prematuro» con Nicola Zingaretti, una volta che martedì Giuseppe Conte si sarà dimesso, andranno al Quirinale per dire due cose. La prima, scontata: non vogliamo le elezioni. La seconda: andiamo avanti con un Conte-bis, un esecutivo con una squadra tutta nuova con ministri espressione dei partiti della coalizione.

Il Pd, invece, indicherà al capo dello Stato altre soluzioni. Zingaretti, sostenuto da Paolo Gentiloni, chiederà ai capigruppo di Camera e Senato che saliranno al Colle di non escludere il voto anticipato (questa è l'opzione ancora più gradita al leader dem). Ma anche, e soprattutto, di dichiararsi disposti a esplorare l'ipotesi di un governo di legislatura. Dicendo no al Conte-bis e anche alla soluzione di un esecutivo guidato dal presidente della Camera, Roberto Fico. E suggerendo due nomi terzi che però al momento decisivo potrebbero cambiare. Il primo è quello di Raffaele Cantone, l'ex presidente dell'Anticorruzione. Il secondo è Giovanni Flick.

«Cantone è giovane, rappresenterebbe un salto generazionale e poi è meridionale, il che non guasta, ed è la bandiera della legalità tanto cara a entrambi i partiti», spiega un dem in contatto con i 5Stelle, «Flick invece è apprezzato sia da Prodi che da Mattarella e piace ai grillini. Insomma, andrebbero bene tutti e due».

IL GIOCO DEI VETI
E' però davvero prematuro parlare del nuovo premier. Primo perché una trattativa vera e propria ancora non è cominciata: «Per ora siamo alle telefonate». Secondo perché Zingaretti, attratto ancora dal voto anticipato per spazzare via i renziani dai gruppi parlamentari, ha scelto una linea rigida con i 5Stelle. Non vuole, ad esempio, dentro al nuovo governo Di Maio e neppure la squadra dei grillini che ha partecipato al governo giallo-verde: «Per far decollare l'esecutivo di legislatura», sostiene uno dei suoi, «deve restare a casa l'intera classe dirigente che ha compiuto disastri assieme a Salvini e ne va fatta emergere una del tutta nuova».

Non la pensa così Matteo Renzi, determinato a sminare le trappole di Zingaretti e a fare qualunque cosa pur di far partire l'esecutivo con i 5Stelle. Dunque, l'ex premier ha fermato il rastrellamento dei parlamentari forzisti attratti dal nuovo governo: «Rischierebbero di essere un intralcio, i grillini non li vogliono. Vedremo dopo che il governo è partito...», ha confidato. E, soprattutto, non ha intenzione di porre alcun veto su Di Maio.

«Se vuoi far nascere un governo che duri», spiega uno sherpa renziano di alta fascia, «non puoi pensare di lasciare fuori il capo politico del Movimento, questo renderebbe il nuovo esecutivo fragilissimo ed esposto al cannoneggiamento esterno. Si tratta però di capire dove mettere Di Maio. Forse la soluzione migliore, visto che bisognerà dargli un dicastero di primo piano e non può andare agli Esteri a causa delle gaffe che ha collezionato sui gilet gialli, Putin e il Venezuela, sarà fargli fare il ministro della Difesa. Lo stesso vale per Conte. E' il premier uscente, i grillini lo difendono e allora potrà andare a fare il commissario europeo, oppure essere lui il responsabile degli Esteri. Ben vengano poi Spatafora, Carelli e altri 5Stelle di buon senso».

Un problema sulla squadra riguarda anche il Pd. Già diversi ex ministri del governo Gentiloni si stanno facendo avanti. Ma Renzi (e forze Zingaretti) pensa piuttosto a Marco Fortis, Ernesto Maria Ruffini (ex Agenzia delle entrate), alla docente Elena Bonetti e suggerisce «un forte rinnovamento». Con una sola eccezione: Pier Paolo Padoan all'Economia.

Questi discorsi sui dicasteri non devono far pensare che il governo di legislatura sia cosa fatta. Anni di insulti tra 5Stelle e Pd non si archiviano facilmente. Le ferite restano profonde e aperte. La diffidenza reciproca ancora da smaltire. In più c'è la questione del programma: Zingaretti e anche Di Maio sanno che non potrà essere riproposta la formula del contratto. «Ci riderebbero tutti dietro», ha confidato il segretario dem. Sicuramente però «andrà stilato un programma capace di portare la coalizione almeno fino al 2022, quando dovrà essere eletto il nuovo capo dello Stato», dice un collaboratore del segretario dem.

LA BOZZA PROGRAMMATICA
Così, nel Pd c'è già chi parla di accordo per una riforma costituzionale (con il taglio dei parlamentari e la correzione del bicameralismo perfetto), la nuova legge elettorale e riforme strutturali sul fronte dell'Economia. «Potremmo fare insieme la riduzione del costo del lavoro, il taglio delle tasse che non è sicuramente solo Salvini a volere, investimenti pubblici nel settore idrogeologico e della scuola, il rilancio di una politica sinceramente europeista grazie al fatto che i 5Stelle hanno votato a favore della nuova presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen».

Poco, ma forse abbastanza per cominciarne a discutere.

Tant'è, che Pier Ferdinando Casini si dichiara ottimista: «La cosa sta andando avanti e Salvini, scaricato anche da Giorgetti, è finito in un vicolo cieco». «Chissà cosa sarà di lui, molto presto potrebbe essere divorato da Zaia e dagli altri», aggiungono al Nazareno, «chi sbaglia la mossa decisiva di solito paga un prezzo molto alto».

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