Federico, l'Anticristo
e i cervelli in fuga
nella Napoli del 1200

Federico, l'Anticristo e i cervelli in fuga nella Napoli del 1200
di Vittorio Del Tufo
Domenica 22 Settembre 2019, 20:00
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«Per troppo tempo sono stato incudine, ora voglio essere martello»
(Federico II di Svevia).
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Per gli alleati, gli ammiratori e i servi sciocchi era lo Stupore del Mondo, un angelo caduto da cielo, un semidio. Per i nemici era l'Anticristo, la bestia immonda che, «senza cessare, scagliava la lancia sul tabernacolo di Dio e Sui Santi che abitano nei cieli». Narra la leggenda che Federico II di Svezia, definito come un eretico epicureo dalla propaganda guelfa, che lo odiava con tutte le sue forze (Dante stesso lo citò nel girone degli eretici vicino a Farinata degli Uberti) veniva considerato l'Anticristo in virtù di un'antica profezia secondo la quale egli sarebbe ritornato in vita dopo mille anni. A prendere per buona questa tesi, e considerato che la sua morte risale al 1250, sulla terra avremmo ancora 231 anni di relativa calma prima che si materializzi l'Angelo Sterminatore. Leggende a parte, preferiamo ricordare Federico stupor mundi, figlio di Enrico IV di Svevia e nipote di Federico Barbarossa, per il forte impulso artistico e culturale che riuscì a imprimere a Napoli negli anni in cui vi fece calare il suo pugno di ferro.

L'imperatore del Sacro Romano Impero, che apparteneva alla famiglia sveva degli Hohenstaufen, lasciò alla città una traccia destinata a restare in eterno: lo Studio Napoletano, la prima istituzione laica e statale non sottoposta ad alcuna ingerenza ecclesiale ma sorta, anzi, proprio con l'obiettivo di contrastare il monopolio culturale del clero. Fu anche un antesignano delle odierne e piuttosto inconcludenti battaglie contro la fuga dei cervelli, come dimostra il testo della lettera circolare (generalis lictera) inviata da Siracusa e considerato l'atto ufficiale di nascita dell'Università che porterà il suo nome:

«Abbiamo perciò disposto che, nell'amenissima città di Napoli, si insegnino le arti e si coltivino gli studi di ogni professione, affinché i digiuni e affamati di dottrina trovino dentro il regno stesso di che soddisfare le loro brame, e non siano costretti, per procurare d'istruirsi, a imprendere lunghi viaggi, e mendicare in terre straniere».

Federico era convinto che il problema dell'istruzione fosse tra i più pressanti della sua turbolenta epoca. Avvertiva la necessità di realizzare in Italia meridionale una struttura universitaria in grado di competere con quelle del nord Italia e del resto d'Europa. «I migliori cervelli del regno devono formarsi al suo interno e, soprattutto, fuori dall'ala protettiva della Chiesa che, all'epoca, deteneva il monopolio sull'istruzione. Un'istruzione laica, come profondamente laico è Federico». (Gianni Rapetti, I luoghi di Federico II, Stupomundi.it). Perciò sceglie Napoli, «dove i costumi sono per tutti benevoli e dove esiste facilità di trasporti, per terra e per mare, di tutto il necessario alla vita degli uomini».

A Napoli insegnarono le migliori eccellenze del tempo. Famosi magistri come il latinista Anello da Gaeta, il filosofo Arnaldo Catalano, i giuristi Benedetto d'Isernia e Roffredo di Benevento. Del cerchio magico dell'imperatore faceva parte anche il grande letterato Pier della Vigna, che contribuì all'organizzazione dello Studium di Napoli. Probabilmente fu lui, nel 1224, a preparare la lettera circolare che sanciva la fondazione dell'istituzione. Naturalmente stupor mundi ne ricevette un considerevole tornaconto: gli studi di diritto, in particolare, erano considerati essenziali per la formazione del personale amministrativo e burocratico della curia regis (la classe dirigente del regno) e quindi la preparazione dei giuristi che avrebbero aiutato il sovrano nella definizione dell'ordinamento statale e nell'esecuzione delle leggi.

Federico promise agli studenti condizioni vantaggiose, dalle convenzioni con gli alberghi per «una pensione di due once d'oro senz'altri carichi» al prestito dei libri di testo. Gianni Rapetto, nel suo studio sui luoghi di Federico II, sottolinea come il «freddo imperatore» si abbandonasse anche a considerazioni paterne: la presenza di un'università nel regno avrebbe liberato i giovani dalle insidie di lunghi viaggi all'estero e li avrebbe mantenuti «sotto gli occhi dei loro genitori», aspetto non secondario vista la «vivacità» degli ambienti studenteschi di quel tempo. Per tutti questi motivi, l'imperatore intimò «sotto pena delle persone e delle cose, che nessuno osi uscire dal Regno per motivi di studio né che entro i confini del Regno osi apprendere o insegnare altrove».

Non solo il diritto, fondamentale per la formazione dei giuristi del regno. I nuovi studi si orientarono anche verso altre discipline, dalle arti alla medicina alla teologia: quest'ultima venne insegnata presso sedi religiose, in particolare nel convento di San Domenico Maggiore, dove insegnò dal 1271 al 1274 Tommaso d'Aquino.
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Al rapporto tra Federico II e Napoli, la docente e saggista Carmela Politi Cenere ha dedicato, recentemente, numerose pagine del suo ultimo libro, La vita privata e gli amori di un monarca illuminato (Graus Edizioni). Tra i luoghi legati alla memoria dell'imperatore vi sono i Campi Flegrei: Federico vi passò al ritorno dalla sesta Crociata usufruendo delle sue acque sulfuree e guarendo così dal malessere che gli si era manifestato durante il viaggio.
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Le leggende legate a Federico II sono intrise di esoterismo e mistero. L'Anticristo sarebbe stato partorito da una vecchia monaca, posseduta dal demonio, e Federico sarebbe il frutto dell'unione tra questa monaca e un frate! L'inquietante diceria sarebbe legata alla profezia di un abate cistercerse calabrese, Gioacchino da Fiore (1130-1202), che riconobbe nel neonato il futuro Castigatore del Mondo. Il frate in questione, secondo la leggenda, sarebbe stato tale Fra Pacifico, al secolo Guglielmo Divini, il quale, prima di divenire uno dei più intimi compagni di Francesco d'Assisi, fu cavalier servente di Costanza, alla quale sarebbe stato legato da un amore segreto. Costanza d'Altavilla, a sua volta, aveva 40 anni quando partorì Federico e, prima del matrimonio, contratto all'età di 32 anni, sarebbe vissuta in un convento. Il frutto della peccaminosa unione, in odore di zolfo, sarebbe stato proprio lui, Federico stupor mundi.

Narra un'altra leggenda che durante la gravidanza di Manfredi, nato dalla relazione tra Federico II e Bianca Lancia, l'imperatore, pazzo di gelosia, avesse fatto rinchiudere l'amante nella torre più alta del castello di Gioia del Colle. Federico era ossessionato dall'idea che la principessa avesse commesso adulterio. Il finale è macabro: umiliata dai sospetti di infedeltà, Bianca si sarebbe tagliata i seni e li avrebbe spediti all'imperatore su di un vassoio assieme al neonato. E nella torre del castello detta ora Torre dell'Imperatrice, si sentirebbe ancora il flebile lamento della donna, e il suo urlo straziante: «Sono innocente!».
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