Forum delle culture, è flop: per Napoli un’altra sconfitta

Forum delle culture, è flop: per Napoli un’altra sconfitta
di Maria Pirro - Federico Vacalebre
Lunedì 17 Novembre 2014, 00:03 - Ultimo agg. 13 Gennaio, 16:35
12 Minuti di Lettura
Sedici milioni di euro. Quattrocentomila spettatori, in larga prevalenza napoletani: alla vigilia si era parlato di quattro milioni di turisti. Oltre cento iniziative realizzate, ma poche, anzi pochissime, degne della definizione di «evento». Concerti, incontri, spettacoli teatrali, festival spesso all’ennesima edizione, già programmati a prescindere dal Forum

universale delle culture : è di questo che parliamo, ormai in periodo di bilancio. Di un contenitore rimasto vuoto per troppo tempo e riempito alla meglio solo in zona Cesarini, tenendo dentro tutto il possibile, ma senza grandi idee, senza scatti di ingegno, senza lasciare il segno, senza scommettere su tendenze e/o revival, senza trovare filoni da cavalcare, senza lanciare protagonisti del futuro, né celebrare degnamente quelli del momento. Per il commissario Daniele Pittèri, il Forum delle culture è «uno dei tre o quattro eventi universali della contemporaneità», «assieme alle Olimpiadi, all'Expo, alle Universiadi». Ma la Campania non se n’è accorta.



Neanche Napoli se n’è accorta, figurarsi l’Italia o il resto del mondo. Nell’anno dei Rolling Stones al Circo Massimo, la città si è accontentata di una rotonda sul mare con venditori di trippa e birra a far da contorno a serate di rap o di folk. Oneste, piacevoli, da «Estate a Napoli». Nessun bagno di folla, nessun hashtag al centro del dibattito, nessun record di visualizzazioni on line.



Applausi ed emozioni per Toni Servillo, Peppe Barra, Maria Nazionale, Daniele Sepe, Enzo Moscato, Mariano Rigillo e tanti altri mattatori, in maggioranza espressione del territorio. E per i concerti di stelle del suono etnico come Youssou N'Dour e Hugh Masekela. Attenzione e approfondimento per Viktor Mayer Sconberger, il più noto esperto di «big data», per Antonella Agnoli e l’incontro sulle biblioteche. Per intellettuali come Massimo Cacciari, Hanif Kureishi e Abraham Yehoshua, a Caserta; per Piergiorgio Odifreddi a Paestum. Ma sedici milioni di euro investiti su questo fronte, in questa regione, in questa città, avrebbero dovuto lasciare una qualche traccia, che non fossero le polemiche e qualche bel ricordo dei presenti.



I non numeri. Il Forum del 2013 si sta tenendo nel 2014 e potrebbe entrare nel 2015, con le code di qualche mostra, anche se il sito della Fundaciò Fòrum Universal de les Cultures, titolare del marchio - e possibile grancassa internazionale - dell’evento, lo presenta come finito nello scorso ottobre. Dieci milioni di euro sono stati destinati alla città su un budget complessivo di sedici, il resto è andato agli altri siti Unesco campani, gestito dalla Regione. Quei soldi avrebbero dovuto rilanciare l’immagine partenopea nel mondo, più che compromessa da emergenze di ogni tipo, imponendola anche come centro di riflessione su «Memoria del futuro». Difficile dire che sia accaduto, che il dibattito culturale nazionale ed internazionale sia passato davvero di qui, non fosse stato per successi estranei al Forum come «Gomorra» o «Il giovane favoloso».



Barcellona nel 2004 ha contato 3,3 milioni di presenze e 334,74 milioni di investimenti. Monterrey, nel 2007, 3,5 milioni di spettatori e 82,11 milioni di euro. Napoli, alla fine, ha rinunciato ai turisti, ormai era troppo tardi per attirarli, come per gli sponsor, che pure sarebbero dovuti essere al centro della scommessa, come di ogni sfida culturale ormai praticabile: è finito il tempo delle vacche grasse. Difficile, però, attrarre fondi privati, non solo per la pur devastante crisi economica, quanto per i problemi di gestione di quelli pubblici: ancor prima di dar via alla manifestazione la Fondazione aveva speso non poco. Fatture per un milione di euro aspettano ancora il saldo, ma, visto che le somme risalgono al 2010, conteggiando gli interessi il debito è aumentato di almeno un terzo e quindi è stimabile attorno a 1,35 milioni. «Cui si aggiungono i progetti, in vista dell’evento, realizzati anche con le scuole e non liquidati in un rimpallo di responsabilità tra Fondazione e Regione», ricorda il consigliere comunale Gennaro Esposito. Ma nemmeno la partecipazione del pubblico locale è da record: 16 milioni di investimento per presenze che Comune e Regione calcolano in circa quattrocentomila spettatori, ad ingresso gratuito quasi sempre.



Quaranta euro per ogni spettatore, insomma, la metà dei famigerati 80 euro di Renzi. A entusiasmare platee numericamente importanti sono stati, con qualche mostra, solo i 99 Posse & Friends che con il loro concertone hanno richiamato circa trentamila persone, in una serata peraltro caratterizzata da non poche carenze organizzative e da una pessima gestione del controllo degli afflussi e della pubblica sicurezza, nonostante il successo più che prevedibile, grazie anche alle collaborazioni con Enzo Avitabile, Caparezza, Clementino e tanti altri ospiti. Nelle ultime settimane è andata anche peggio, perché piccole o grandi rassegne, a volte preziose, sono andate quasi deserte, colpa anche della tardiva, se non assente, comunicazione. Tutto esaurito, invece, stasera, per l’omaggio del San Carlo a Roberto De Simone, annunciato però ai media quando i biglietti erano già stati tutti distribuiti.



La non sede. Il ridimensionamento dei sogni della vigilia è facilmente visualizzabile. Gli uffici della Fondazione sono tre stanze al terzo piano del Pan, il Palazzo delle Arti di Napoli, nemmeno il commissario Pittèri ne ha una tutta per sè. E pensare che al momento dello statuto si prevedeva un organismo di cinquanta persone, che sarebbero dovute essere ospitate dall’ex asilo Filangieri, ristrutturato nel centro storico. Riconsegnato al quartiere nel 2008, occupato nel marzo 2012 dal collettivo La Balena, scatenando una stagione di denunce sulla «allarmante questione logistica», furti, messa in sicurezza mai completata, ricorsi al Tar.



I non eventi. Il premio Oscar Ennio Morricone avrebbe dovuto inaugurare le danze. «In realtà non è stato nemmeno invitato», ha gelato però tutti l’assessore regionale Caterina Miraglia quando il nome del maestro fu speso improvvidamente da qualcuno. La chiusura con Riccardo Muti (9 dicembre) non è ancora annunciata sul sito del Forum , ma è già organizzata dal conservatorio a San Pietro a Majella: il Forum dovrebbe metterci il cappello, ed un po’ di soldi, i «semplici» spettatori non si sa se e come potranno parteciparci, anche se si ipotizza di ricorrere a grandi schermi all’esterno. Una chiusura con La Fura del Baus è stata, invece, comunicata e cancellata, come il Womad, prestigiosissimo festival di suoni etnici inventato da Peter Gabriel. Direttamente bocciati, invece, i progetti di Vinicio Capossela, sugli ammutinati, e di Franco Battiato: davvero erano così poca cosa rispetto alle geniali rassegne fotocopia degli operatori locali premiati? Forse costavano troppo, per cast e per allestimenti, forse il meccanismo dei bandi ha impedito di fare meno ma meglio, eppure i progetti speciali non sono mancati. Soprattutto, si poteva, anzi si doveva, fare prima, difficile usare bene il milione investito in comunicazione non avendo eventi da comunicare in tempo, impossibile attivare il tam tam della rete senza nemmeno il tempo di pubblicare gli appuntamenti, moltiplicatisi improvvisamente nelle ultime settimane, con un cartellone in cui proposte firmate dagli istituti scolastici si alternano a spettacolini e curiose offerte di approfondimento in materia di storia patria.



Intanto, l’arrivo del maestro Muti suggerisce ironia agli operatori dell’incoming, che davvero avrebbero voluto vedere quei quattro milioni di turisti in 101 giorni sognati da Nicola Oddati, primo sostenitore del Forum a Napoli. «In tutto questo non sappiamo neppure se il Forum è finito»: i «muti eventi», spiegano Ettore Cucari (Fiavet, la federazione delle imprese di viaggio), Agostino Ingenito (Abbac, la sigla dei B&B), Maurizio Maddaloni (Camera di Commercio), Salvatore Naldi (Federalberghi), sono «l’ennesima occasione sprecata» in un’ottica di rilancio di presenze e immagine.



La non comunicazione. La spesa per la comunicazione supera il 10% del budget complessivo ed è stata suddivisa tra Fondazione e Scabec. La Fondazione ha impegnato direttamente 520mila euro (compresivi di costi per la pubblicità di bandi e gare). In più, alla società regionale Scabec (a partnership pubblico-privata, opera nel settore dei beni culturali) è stato destinato un milione affinché provveda all’ufficio stampa e al sito internet. Un milione, l’importo lordo, è per un periodo di attività di circa 9 mesi, da aprile a novembre 2014, di cui 530mila per «piano mezzi», cioè per spot e spazi pubblicitari. Dalla promozione su Rai e Mediaset ai cartelloni negli aeroporti di Napoli e Roma, alle stazioni ferroviarie, ai video nella metropolitana partenopea, agli annunci sui quotidiani, più la pubblicità sul web. Sì, ma per comunicare cosa? Visto il programma in divenire, ammesso che di «divenire» si possa parlare? E comunicare a chi, se la serata di gala per De Simone era già «tutto esaurito» prima di essere annunciata?



Dopo la conferenza stampa di lancio a Parigi, a programma naturalmente ancora sconosciuto, l’orizzonte internazionale della manifestazione si è ristretto sempre di più, sino a sparire. Una scelta glocal, si è detto, ma con la consapevolezza che, ormai, si trattava di limitare i danni. Il non tema. «Le attese sono state grandi, troppo grandi», riflette Claudio De Magistris, fratello del sindaco e consulente culturale dell’amministrazione comunale che pure qualcuno avrebbe voluto chiamare in campo. Abituato ad occuparsi di grandi eventi, sottolinea il ritardo nel finanziamento regionale di un anno e mezzo, ma anche problemi più di merito: «È un risultato importante non aver perso l’occasione, aver scelto di coinvolgere il territorio, ma non nascondo che il risultato è mediocre. Forse per problemi di comunicazione, forse per non aver trovato un collante identitario». Come a dire, che è meglio di niente, ma anche che Napoli ha perso un treno importante.



I non spettatori. Tra Napoli e la Regione, si è avuta una separazione consensuale degli eventi: a ciascuno il suo. Con alcuni problemi comuni sul fronte della promozione dalle prime mosse. A Caserta, in maggio, nessuno è parso accorgersi che stava per iniziare il Forum , spingendo il sindaco Pio Del Gaudio a invitare direttamente le associazioni e il vescovo Raffaele Nogaro a un dibattito sui migranti, cosciente delle troppe sedie vuote viste nei giorni precedenti. A Benevento il consigliere comunale Nazzareno Orlando ha chiesto di sapere «come mai gran parte degli eventi previsti fossero risultati sinora praticamente deserti».



A Napoli diversi spettacoli e rassegne ospitate alla Mostra d’Oltremare sono state poco frequentate dal pubblico. Si pensi a Seun Kuti, figlio del «presidente nero» Fela, star dell’afrobeat, esibitosi, peraltro magnificamente, davanti ad uno sparuto drappello di spettatori all’Arena Flegrea in una serata in cui giocava il Napoli (con l’Inter, peraltro) e con minimo preavviso, giusto a mezzo stampa. Nulla sui social network, nulla sui muri della città. La programmazione work in progress, l’infelice scelta di alcune location, l’insufficienza della pubblicità ha impedito che si godesse delle proposte.



Il non effetto duraturo. In Messico, con i soldi del Forum 2007, si è recuperata una zona industriale: 80 ettari ai margini della capitale del Nuevo Leòn diventati un polmone verde con giardini, laghetti, alberghi, ristoranti, impianti, sportivi. I capannoni laminati sono stati trasformati in enormi centri espositivi, con sale per incontri, convegni, spettacoli e un’arena da 16mila posti. E il vecchio altoforno è stato convertito in un museo del ferro e dell’acciaio.



A Caserta il Forum delle culture ha illuminato la Reggia e piazza Carlo III, ma grazie a 380mila euro in più stanziati ad hoc dalla Regione. A Pompei si è riaperto il Teatro Grande, in giugno. A Napoli, spiega Pitteri, si è deciso di dare una mano di bianco al Pan per realizzare un info point nell’ex bar, un’area al pianterreno chiusa da otto anni. Circa 600 metri quadri da utilizzare dopo il Forum per le mostre. Un altro progetto è recuperare il padiglione Cabotino, di tipo modernista, nella Mostra. Costo stimato dell’operazione: 40-50mila euro.



La non unione. Il problema viene da lontano: il Forum è stato aggiudicato a Napoli quando al governo c’era Prodi, in Regione Bassolino e al Comune la Iervolino. Poi però l’equilibrio politico è stato sconvolto con il cambio di premier, governatore e sindaco e sono arrivati molti meno soldi del previsto. La non unione non ha fatto la forza, anzi le divisioni strategiche hanno bruciato uno per volta tutti i responsabili individuati: da Oddati a Roberto Vecchioni, prima invitato e poi costretto alle dimissioni sull’onda di un presunto sdegno popolare per il suo cachet, da Sergio Marotta a Francesco Caruso, da Alessandro Puca ad Andreas Neumann.



Nessuno dei protagonisti mancati ha rinunciato però a lasciare il suo effimero marchio: c’è chi avrebbe voluto Carlos Santana ed Eric Clapton, chi addirittura il Papa, alla fine in cartellone hanno trovato spazio Patrizio Oliva e Gianluca Capozzi. Neumann prima di andarsene ha suggerito a De Magistris di cancellare tutto. Pittèri pure, ma prima di essere nominato commissario, preannunciando le conseguenze di un fallimento «altamente probabile» e proponendo «una dignitosa rinuncia da parte del sindaco e dell’amministrazione comunale». «Il continuo cambio di interlocutori a Napoli è stato un disastro», ha sentenziato all’inaugurazione Xavier Trias, sindaco di Barcellona, dove il Forum è stato ideato e dove è nato con ben altri risultati.



Forum story. L’impresa ha avuto inizio 7 anni fa, quando la città si è candidata a ospitare la quarta edizione del Forum , da realizzarsi nel 2013, ed è riuscita ad aggiudicarselo. Un progetto che il governo Prodi e poi quello Berlusconi hanno definito «fondamentale per tutta l’Italia» ma che non ha ottenuto il riconoscimento di grande evento, perdendo finanziamenti oltre che credibilità. In principio si sono ipotizzati, infatti, addirittura 1.000 milioni investimenti, poi 250: sono diventati 16, in parte spesi per mantenere la Fondazione costituita per organizzare la manifestazione, incapace - tra l’altro - di attirare i fondi privati di cui si è già detto. Con quest’obiettivo, il presidente della Regione Campania e il sindaco di Napoli, il 16 febbraio 2009, hanno sottoscritto con la Fundaciò un protocollo di intesa e si sono impegnati a pagare 4,2 milioni (poi ridotti a 1,3) per l’uso del marchio e del format tutelato.



Il capro espiatorio. L’8 maggio scorso alla guida della Fondazione ormai commissariata è stato nominato Daniele Pittèri, 53 anni, esperto di comunicazione e industrie culturali, prof. alla Federico II di Napoli e alla Iulm di Milano, chiamato a dare avvio alla scelta dei progetti, peraltro protocollati e nell’attesa chiusi negli armadi. Per un bando con 192 soggetti è servita una settimana solo per aprire le buste e verificare i documenti.



Dal 2 agosto è iniziata la corsa per salvare il salvabile, la montagna doveva partorire almeno il topolino, lo scopo iniziale era stato gettato alle ortiche, ora si poteva offrire ai napoletani «solo» qualche spettacolo, qualche convegno, qualche mostra, roba di ordinaria amministrazione, «centrando almeno il risultato di non perdere i fondi a disposizione, di utilizzarli come meglio si poteva con il tempo e i bandi a tutti noti», spiega Pittèri, che ci ha messo la faccia senza poter far altro che scegliere tra quanto ormai era ancora possibile fare. Il commissario avrebbe voluto «strutturare in maniera più forte un progetto di base e poi emettere bandi molto più stringenti, dando sin dall'inizio maggiore enfasi agli obiettivi del Forum che non è un evento ma un insieme di eventi culturali. Da riportare nella vita quotidiana, pensando prima ai cittadini e poi ai turisti». Per l’assessore comunale alla Cultura Nino Daniele: «Il Forum si sta svolgendo e questo già va considerato un risultato, l’anno scorso solo a nominarlo si suscitava ilarità o avversione». La Miraglia rimarca le distanze tra il programma partenopeo e quello negli altri siti Unesco: «Abbiamo seguito due strade diverse».



Il bello, il vero e l’app. Consumate senza clamori né particolari assembramenti di curiosi le celebrazioni eduardiane, la mostra «Il bello o il vero» prometteva di applicare le tecnologie digitali alla scultura napoletana del secondo Ottocento e del primo Novecento. Opere parlanti sono chiamate a interagire con i visitatori grazie a un sensore e a una app per smartphone e tablet. Ma, testata a distanza di una settimana dall’inaugurazione, l'applicazione non funziona sull’iPhone e la connessione non è abbastanza potente in tutte le sale. Un problema da risolvere al più presto, si promette. Il cartellone, ormai prossimo alla fine, è in divenire, viene annunciato giorno dopo giorno, quando succede. «Tamorra no camorra», manifestazione già tenutasi qualche anno fa, viene ospitata al teatro Forcella, ma nessun sa cos'è, nemmeno gli artisti invitati, almeno fino a che non ci mettono piede: si tratta dell’ex Supercinema.



Le polemiche. In attesa della chiusura con Muti, l’associazione Napolipuntoacapo ha rivolto un appello al maestro a disertare il Forum . La stessa organizzazione ha anche avuto da ridire sugli ottomila euro concessi ai renziani della prima ora di Big Bang Campania per una riflessione su Benedetto Croce. Un’interrogazione del pentastellato Carlo Sibilia è stata presentata su «La Repubblica delle idee» finanziato con 100mila euro. Una scelta su cui il sindaco ha già spiegato: «Il gruppo editoriale ha partecipato ai bandi che il Comune ha pubblicato». Per ironia della sorte, è stato il primo evento, questo sì, con Roberto Benigni e Paolo Sorrentino, firmato da Pittèri, collaboratore del quotidiano, evento naturalmente già in programma da tempo, già annunciato a prescindere dal Forum .



The end. Ormai è andata, o quasi, altrove stanno pensando all’edizione del 2016, difficilmente qualcuno prenderà mai ad esempio la lezione partenopea. Stasera al San Carlo si festeggia De Simone e, almeno per una sera, la parola cultura ritrova il suo senso, come anche il tema «la memoria del futuro». Ma manager, consulenti, artisti, intellettuali, tecnici eccetera eccetera temono di incassare a «futura memoria» quanto spetta loro. Dei fondi destinati a Napoli ne sono stati trasferiti circa la metà dalla Regione al Comune, ma 3 milioni su 5 non sono ancora nelle casse della Fondazione. Quanto ci vorrà per risolvere questo problema e quanto per saldare gli altri cinque restanti? In fondo, riuscire a non perdere quei sedici milioni di euro, e quindi a spenderli, è il minimo risultato da tutti riconosciuto di questo Forum internazionale delle culture diventato a Napoli l’ennesima occasione sprecata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA