Expo, gli spaghetti al pomodoro piatto simbolo dell'esposizione milanese

Expo, gli spaghetti al pomodoro piatto simbolo dell'esposizione milanese
Giovedì 12 Marzo 2015, 15:29 - Ultimo agg. 16:21
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Joe Bastianich ha scelto gli spaghetti al pomodoro per rappresentare la sua visione di Expo 2015. AIDEPI (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta) sostiene questa candidatura: “Gli spaghetti al pomodoro sono anche per noi il piatto simbolo di un’alimentazione sana ed equilibrata che trova nei carboidrati complessi la scelta vincente in chiave di gusto e salute. E’ anche la ricetta di pasta più amata dagli italiani”. Dati Doxa/AIDEPI, il 67% dei nostri connazionali preferisce gli spaghetti a qualsiasi altra tipologia di pasta e il sugo di pomodoro, con il 28% delle preferenze, “batte” ogni altro condimento. Omaggio alla ricetta di pasta più amata e imitata al mondo. Tra rivisitazioni dei grandi chef, storia, letteratura e stereotipi duri a morire…



Joe Bastianich, che ha scelto gli spaghetti al pomodoro come ricetta per rappresentare il suo modo di vedere l’Expo di Milano, ha spiegato la scelta alla sua maniera: “E’ la ricetta più semplice, bella e buona, come me". Nel suo giudizio sugli spaghetti al pomodoro, scopriamo però che il giudice di Masterchef è in buona compagnia. Gli spaghetti hanno successo anche in Usa, dove 8 americani su 10 mangiano pasta una volta a settimana e per il 40% di loro gli spaghetti sono il formato senza rivali… tanto che anche per la festa di San Patrizio fanno furore sul web ricette in versione green, come gli spaghetti all’avocado rilanciati su Foodsta.com, uno dei blog più seguiti negli States.

Stessa musica anche nel Bel Paese: per gli italiani sono gli spaghetti il formato preferito. E la salsa al pomodoro il condimento più amato. Candidando quindi questo piatto, dall’alto dei nostri consumi (siamo leader mondiali con 26 kg pro capite), a ricetta più amata e consumata al mondo. Secondo una ricerca Doxa/AIDEPI, il 67% dei nostri connazionali preferisce gli spaghetti a qualsiasi altra tipologia di pasta, battendo, anche se solo di un’incollatura, la pasta corta (64% per fusilli, rigatoni penne), mentre lasagne, farfalle, tagliatelle e cannelloni (tutti con gradimenti compresi tra il 28% e il 35%), restano indietro di parecchie lunghezze. Tra i condimenti preferiti dagli italiani, vince proprio il sugo con il pomodoro (28%), davanti al ragù di carne (26%) e, lontanissimi, frutti di mare, carbonara e pesto alla genovese (tutti tra il 5% e il 7%).

Anche sul web lo spaghetto “batte” tutti i formati concorrenti: con 122 milioni di citazioni nella ricerca su google, solo le penne riescono a tenergli, in qualche modo (20 milioni di citazioni), testa, mentre tutti gli altri formati più noti (dai rigatoni alle tagliatelle, dalle fettuccine ai tonnarelli, dalle farfalle ai paccheri ai fusilli) insieme raggiungono appena i 18 milioni di ricorrenze.

“Condividiamo la scelta di Bastianich – afferma Riccardo Felicetti, Presidente del Gruppo Pasta di AIDEPI – e accettiamo anche noi di sostenere, come AIDEPI, gli spaghetti al pomodoro come piatto simbolo dell’EXPO, perché rappresenta alla perfezione un’alimentazione sana ed equilibrata che trova nei carboidrati complessi la scelta vincente in chiave di gusto e salute. Gli spaghetti al pomodoro sono probabilmente la ricetta simbolo della cucina italiana nel mondo, quella che più ci rappresenta. E noi siamo orgogliosi di avere contribuito a costruire questo mito del Made in Italy alimentare. Un piatto ‘perfetto’ proprio perché semplice, iconico perché immediato, evocativo nei suoi colori e nella sua genuinità. Expo è il momento ideale per riscoprire la tradizione e la modernità di questo piatto”.

Spaghetti o vermicelli (dunque) di grano duro, pomodoro San Marzano o pomodorino del Piennolo, olio extravergine di oliva e una foglia di basilico: si dice che il piatto di pasta più difficile per uno chef sia proprio questo, perché la semplicità della pasta è al contempo raffinatezza ed equilibrio.



Il grande Fulvio Pierangelini a questa ricetta ha dedicato una lezione all'Università di Parma. Ricordando che, ai tempi del ristorante Gambero Rosso, ne curava in prima persona la preparazione, perché “per fare un piatto che tutti conoscono come lo spaghetto al pomodoro bisogna amarlo, conoscere le materie prime, saperle rispettare.” Ma non si contano le reinterpretazioni d’autore di questa ricetta. Nella versione di Davide Oldani, il tocco dello chef è la cottura terminata nella salsa di pomodoro, con l’aggiunta di menta e pomodori pachino canditi aggiunti a fine cottura. Davide Scabin ha invece proposto a Fuorisalone 2014 lo “spaghetto pizza margherita”, unendo nello stesso piatto due icone dell’Italia a tavola, con l’aggiunta di pomodorini confit, qualche pezzetto di acciuga, provola affumicata, lime e brodo di mozzarella.

Le “dritte” di Pino Cuttaia? Un leggero soffritto di aglio, ma in camicia, per non farlo bruciare. Sì al basilico, ma meglio scegliere i germogli con la fioritura, che non si ossidano e sono più profumati della foglia. E mai e poi mai formaggio sulla pasta…

Per Ciccio Sultano nel sugo va un blend di tre tipi di pomodoro (ciliegino per sapore ed acidità, rosso ramato costoluto per la polpa, sanmarzano o piccadilly per la dolcezza). Mentre per Heinz Beck gli spaghetti al pomodoro… sono senza pomodoro: Per emulare lo chef della Pergola, basta cuocere la pasta non nella classica acqua bollente ma in un’acqua di pomodoro ottenuta filtrando per una notte i pomodorini frullati e avvolti in un canovaccio.... L’acqua di pomodoro così ottenuta trasferisce in cottura l’“essenza” del pomodoro al grano della pasta. Il tocco finale, l'aggiunta delle vongole su una salsa al basilico, prezzemolo e cerfoglio. La firma di Mauro Uliassi è il sapore di affumicato che richiama al palato e alla memoria - le grigliate delle feste paesane, ottenuto con l’aggiunta alla salsa di un brodo di anguilla affumicata. Elio Sironi e Piero Parisi puntano invece sulla cottura passiva della pasta: pochi minuti di bollitura – tra 2 e al massimo 4 – e via la pentola dai fornelli, lasciata a riposare con il coperchio fino al raggiungimento del tempo di cottura previsto. Così gli spaghetti conservano il loro amido... e in più si risparmierà sulla bolletta del gas.

E pensare che la storia degli spaghetti al pomodoro è relativamente recente: degli spaghetti si ha notizia già nel 1154 grazie al geografo arabo Al-Idrisi, che nel suo “Il libro di Ruggero” ci informa che “in Sicilia c’è un Paese chiamato Trabia…. dove si fabbrica un cibo di farina a forma di fili in quantità tali da rifornire oltre i paesi della Calabria, quelli dei territori musulmani e cristiani”. Tra i vari termini utilizzati per definire questo alimento, comunemente detto itryya, c’era anche l’arabo fidaws (che, attraverso il castigliano fideos diventa l’italiano fidelini o fidellini). Ma il matrimonio tra gli spaghetti (o vermicelli) e la salsa di pomodoro avviene solo all’inizio del 1800. Pochi anni dopo la rivoluzione francese, a Napoli, “a pummarola” rivoluziona la storia del nostro piatto nazionale, sancita nel 1837 dalla pubblicazione della prima ricetta di “vermicelli al pomodoro” firmata Ippolito Cavalcanti, conquistando la curiosità, prima, e l’apprezzamento di mezzo mondo - Italia compresa, dopo l’unificazione del nostro Paese nel 1861.



Vero e proprio sinonimo di Made in Italy, gli spaghetti (al pomodoro e non) hanno saputo precedere, accompagnare e poi sintetizzare – nel bene e nel male, tra verità e pregiudizio - la nostra stessa identità nazionale.



Rivelano la loro anima nazionalpopolare grazie a Trilussa e al sonetto La politica, del 1915, riuscendo nel miracolo di mettere d’accordo una famiglia composta da un padre democratico-cristiano e da tre figli (socialista, monarchico e repubblicano) dalle idee politiche molto diverse: “… appena mamma/ ce dice che so cotti li spaghetti/semo tutti d’accordo ner programma”. Mentre Prezzolini scriveva che “gli spaghetti hanno diritto d’appartenenza alla civiltà italiana come e più di Dante”.

Gli spaghetti viaggiano nelle stive dei Transatlantici con cui milioni d’italiani, in varie ondate tra le fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, inseguono i loro sogni di emigranti in cerca di pane e lavoro. I Fratelli Marx, in uno dei loro film più celebri, Una notte all’opera, documentano questa realtà immaginandosi clandestini in rotta verso New York, affamati e pronti a sognare (prima) e ad abbuffarsi, poi, con una montagna d’italianissimi spaghetti. Per gli emigranti – e per chi li guarda e giudica, non sempre con benevolenza – gli spaghetti cominciano a diventare tratto indelebile d’identità nazionale. Sono un segno, ostentato con orgoglio, del loro essere, per sempre e nonostante tutto, italiani.

Al limite, nella logica dell’accettazione del cosiddetto sogno americano, si accetterà la contaminazione, e ne nascerà il piatto simbolo dell’opulenza raggiunta: gli spaghetti “meat balls”, immortalati da Disney in Lilli e il Vagabondo. E cioè gli spaghetti con le polpette sopra. Carne e pasta, primo e secondo: così la fame, e la povertà, sono solo un lontano ricordo. (G.S.)