De Magistris: «Farò come Davide contro Golia e mi ricandido nel 2016»

De Magistris: «Farò come Davide contro Golia e mi ricandido nel 2016»
di ​Luigi Roano
Domenica 2 Novembre 2014, 11:42 - Ultimo agg. 11:50
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Di nuovo seduto al suo posto, l’agenda rossa di Paolo Borsellino in primo piano, il corno di Lello Esposito come sostegno scaramantico, le carte e il mare di lavoro da fare che lo accerchiano. Sindaco Luigi de Magistris, quanto le è mancato tutto questo nel corso di un mese vissuto da sindaco sospeso dalle sue funzioni?

«Mi è mancato molto. Questa è stata per 3 anni la mia casa, mai lavorato meno di 18 ore al giorno perché ho interpretato il mio ruolo in maniera assolutamente assorbente. Ho dedicato tutto il tempo per risolvere i problemi e rilanciare l’orgoglio di Napoli. Mi sono mancate le funzioni, ma mi sono sempre sentito sindaco. Con un colpo di teatro - visto che oggi ricordiamo Eduardo - ho lanciato la missione di sindaco di strada. Non perché in questi 3 anni non lo sia stato. Però in questo mese l’ho fatto in maniera esclusiva e con più pazienza di ascolto, più voglia di guardare negli occhi le persone vere, quelle che non hanno potere ma dignità».



E cosa ne ha tratto?

«Credo che questo trauma istituzionale, questa ulteriore ferita e lacerazione infertami da pezzi delle istituzioni, ha rappresentato un cambiamento profondo. Non è accaduto qualcosa di ordinario e non si è ricostituita l’ordinarietà. Qualcosa è cambiato e adesso deve essere mio compito saper scrivere una pagina nuova nell’ambito del quinquennio del mio mandato».



Sembra un richiamo al suo rapporto con Napolitano. Lei da Pm ha detto ”mi hanno strappato la toga”. Poi dice che non ce l’ha con Napolitano ma ripete che le ha rovinato la vita. Non crede che sia un atteggiamento aggressivo e di chiusura verso le istituzioni?

«Mi deve essere dato atto che non solo non ho un atteggiamento aggressivo ma anzi, per il dolore che ho subito quando ero magistrato, per la ferita insanabile che mi è stata inferta - vorrei ricordare per inciso che sono stato trasferito con un processo disciplinare definito da giuristi e magistrati assurdo, ingiusto e deplorevole - da un Csm presieduto dal Presidente e dalla sezione disciplinare presieduta da Nicola Mancino. Come tutti sanno lanciai un appello forte al Presidente della Repubblica, appello rimasto inascoltato. A fronte di tutto questo, oggettivamente e soggettivamente, si è creata una lacerazione personale e istituzionale».



Però lei oggi è uomo delle istituzioni: fughe in avanti da questo recinto non ce ne possono essere.

«Da quando sono diventato sindaco, ancora una volta, ho messo l’istituzione davanti alla mia persona; con fatica a livello personale, questo non lo nascondo, ho doverosamente tessuto relazioni istituzionali con il Capo dello Stato. E posso dire che in questi tre anni i rapporti sono stati istituzionali, dunque formalmente corretti, mai aggressivi, mai con acrimonia né da una parte né dall’altra. Non ho interesse né voglia di aprire un conflitto con il Presidente della Repubblica. Faccio il sindaco di Napoli e il sindaco deve avere relazioni istituzionali. Poi non c’è dubbio che quando aumentano le ferite istituzionali e i colpi e i fendenti li prendi spesso sempre e comunque da pezzi delle istituzioni, questo fa aprire ulteriori riflessioni».



Vale a dire?

«Io sono uomo delle istituzioni e dunque convinto che le stesse possano ancora riparare a ingiustizie formali e profonde che da esse sono arrivate. Da un punto di vista umano, sentimentale e formale questa ultima vicenda mi fa fare un balzo in avanti ad abbracciarmi sempre di più con la gente senza potere e a stare un po’ meno a contatto con ambienti istituzionali».



Tuttavia, fare il sindaco di Napoli significa non isolarsi, non trova?

«Il mio modo di agire è rimanere nelle istituzioni per cambiarle da dentro, e star vicino e stimolare relazioni con la parte sana delle istituzioni che certo non è la più piccola. La forza di Napoli è essere l’unica realtà politica che si inserisce in uno schema altro, originale e creativo rispetto al sistema politico tradizionale».



Un caso Napoli allora c’è?

«Il fatto che io abbia governato per tre anni senza soldi, e che quindi ho di fronte anche tanta gente arrabbiata e delusa, e nonostante tutto questo sia riuscito a scatenare una scintilla di partecipazione popolare - da uomo delle istituzioni - lo vedo come un fatto positivo. Il problema in Italia è quello dello scollamento tra rappresentati e rappresentanti, tra istituzioni e popolo».



Dove si colloca in questo quadro da lei disegnato?

«Se oggi fuori dagli schemi c’è qualcuno al quale non interessa tanto fare il leader di partito, ma cercare di essere un leader popolare - che ha un certo carisma e la capacità di trainare - è un fatto positivo non solo per Napoli ma anche per le istituzioni. Alla fine il mio lavoro è rimanere dentro le istituzioni, ma avendo cuore e mani verso la gente che non conta nulla e non ha potere.Svolgo una funzione di mediazione nel conflitto: spingere le persone ad avere fiducia nelle istituzioni».



Lei fa questo ragionamento ai suoi figli?

«Certe volte il più grande mi dice: ”Papà devo ancora continuare ad avere fiducia nelle istituzioni?”. E io dico sì. Nonostante tutto sì. Oggi non c’è un isolamento, c’è una caratteristica originale della città di Napoli. Napoli ha un sindaco che da uomo delle istituzioni ha ritenuto che la sua vita debba essere improntata anche al diritto-dovere di denunciare le gravi nefandezze e anche crimini, che avvengono dentro le istituzioni. Oggi stiamo celebrando un processo sulla trattativa tra pezzi di Stato e mafia; secondo me c’è stata la trattativa. Ne parla tutto il mondo e ne parlo anche io. E non significa essere fuori dalle istituzioni».



Ha letto le deposizioni di Napolitano?

«Sono passato dalle 18 alle 24 ore di lavoro quotidiano, le leggerò. Le devono leggere tutti gli italiani; è un processo snodo della Repubblica, doveroso che tutti leggano la deposizione del Capo dello stato».



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